Il fallimento dei referendum sul Lavoro (erano quattro su cinque) voluto dalla CGIL è stato variamente commentato e questa storia di non capire mai chi siano vincitori e vinti la trovo abbastanza imbarazzante.
Direi anche che il dibattito avvenuto nel corso della campagna referendaria è stato relativamente snobbato dall’opinione pubblica. Questo è dovuto anche alla difficoltà di capire i contenuti, quando sono ritagli di leggi da abrogare. Tutto è più chiaro quando il voto, come su alcuni temi del a su di un tema con un Sì o un No che risultano dirimenti e comprensivi.
Non stupisce che il referendum abbia avuto una logica politica e quindi l’accusa ai promotori di una “politicizzazione” dei quesiti appare ridicola. Ancora alla vigilia del voto, la manifestazione su Gaza a Roma risuonava di intenzioni chiare: lo strumento referendario doveva essere una spallata al Governo Meloni. Progetto sempre rischioso su temi scivolosi (il peggiore era, come da risultato, la cittadinanza più facile per gli stranieri), che deve in più tenere conto dell’incancrenirsi, diventando una vera e propria patologia, dell’astensionismo.
E pensare che il tema del Lavoro è centrale ed è incredibilmente mutato da alcuni anni a questa parte. Oggi – la constatazione è semplice e mi perdonerà chi pensa che sia un ragionamento infantile – nel gioco fra domanda e offerta di lavoro si evidenziano buchi spaventosi di mancanza di personale. Un dato di fatto ben visibile anche in una piccola realtà come quella valdostana e che apre il tema enorme e complesso di flussi migratori davvero regolati e non casuali come si ha a che fare con chi arriva in Italia con i barconi in assenza di regolazione e progetti.
Questa “fame” di dipendenti diventerà endemica con il crollo delle nascite e i giovani che lasciano l’Italia (il tasso anche in Valle d’Aosta è significativo) e si accompagna anche ad un approccio diverso al lavoro. Si sta incardinando una crescente mobilità nel lavoro, rispetto ad una vita nello stesso posto. Il lavoro nel pubblico – lo si vede da molti concorsi – è meno attrattivo e viola il famoso tabù del “posto fisso”.
Vi è poi una revisione dell’etica del lavoro, che era una fissazione di noi babyboomer nel solco dell’esempio dei nostri genitori protagonisti del dopoguerra. E’ per me un tema abbastanza doloroso, quando incontro persone che ritengono il lavoro che devono svolgere una specie di sine cura, venendo a meno a certi doveri, che corrispondono sempre – come in altri casi – ai diritti sacrosanti. Ci sono situazioni che non capisco e che non solo danneggiano la credibilità delle persone che si allontanano da certi valori, ma ricadono poi sui colleghi che devono sgobbare in loro vece ed è profondamente ingiusto.
So bene che ci sono grandi esperti che analizzano, certo meglio di quanto io possa fare in queste poche righe, gli scenari futuri. Quel che è certo è che bisogna pensare davvero all’avvenire e non pensare che si possa essere in perenne emergenza e neppure, al contrario, che stiano in piedi pianificazioni troppo dettagliate.
La mutevolezza dei comportamenti e delle tendenze della società devono essere monitorate. Penso quanto svetti in questo periodo la questione dell’impatto sul Lavoro dell’Intelligenza Artificiale, che può avere applicazioni straordinarie, ma anche impatti pesanti in caso di incapacità di governo delle situazioni che si creeranno.
Spesso queste complessità crescenti e gli scenari mutevoli mi creano un senso di impotenza e qualche apprensione. In questo caso bisogna davvero pensare alla Politica come elemento che giganteggia nelle scelte per il futuro, scansando le insidie e le difficoltà.
Alternative non ce ne sono.