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14 giu 2025

Ricordando il Giappone

di Luciano Caveri

Sono stato di recente in Giappone per due settimane. Stranamente ho avuto difficoltà a scrivere di questo viaggio che mi ha consentito di attraversare questo Paese, oggi attrattivo più che mai.

È di fatto un “altro luogo”, a differenza di altri Paesi orientali che ho visitato.

Emerge, come non avviene altrove, un’impronta meno forte delle caratteristiche che rendono ormai e in molti casi tutto il mondo un paese nel segno, se vogliamo, della occidentalizzazione.

Provo a spiegarmi: resta qualcosa di impenetrabile, che forse deriva da una parte da un evidente e difficile gap linguistico e dall’altra da un senso di separatezza, al di là di una cortesia e di una gentilezza come costante sfondo nei rapporti umani.

Come se secoli di isolamento che fu scelta politica creasse ancora una certa difficoltà di comprensione fra una modernità tecnologica evidente ma in frenata e un culto delle tradizioni che emerge come elemento anch’esso di distacco verso l’ospite. che ne coglie solo aspetti di superficie, non riuscendo a penetrare nel profondo di un intreccio complesso di usi, costumi, comportamenti e persino manie.

Ma non si può non restare che stupiti dal sincretismo religioso, dal cibo con i suoi rituali antichi persino nel fast food, dai giardini straordinari che mostrano il senso dell’ordine, dal dolore palpabile dei luoghi ad Hiroshima dove esplose la prima bomba atomica.

Per un montanaro si avverte la magia della montagna che è il cuore del Paese e conferma l’esistenza di quella Internazionale delle Montagne che rende - anche laddove tutto sembra così diverso - il senso di un’assonanza di chi vive le Terre Alte.

Non posso che mischiare nel ricordo i rituali, che siano il the, la notte trascorsa dormendo in terra, le case della tradizione come luogo di culto, il misterioso ruolo delle geishe e l’ambigua sessualità delle bambine in minigonna, i matrimoni tradizionali fusi con grattacieli e autostrade che zigzagano in mezzo ai palazzi.

Tutto crea un senso bizzarro di straniamento che confonde. Le guide, che siano giapponesi che parlano in italiano o italiani che vivono lì da tempo, sono indispensabili per capire i templi, i giardini zen, certi tic che ci suonano come difficili da leggere dietro a inchini e sorrisi. Come ad esempio l’ossessione per il cibo, una socialità che pare sbilenca, la sopportazione di spazi di casa minuscoli, un senso di disciplina che appare ossessivo. Per non dire dei treni veloci giapponesi, chiamati Shinkansen, che attraversano il Paese con la puntualità come obbligo e che ormai appaiono datati.

Torni - questo è certo! - con più interrogativi di quando sei partito.

E anche con l’impressione di essere sempre considerato estraneo, come il famoso marziano a Roma di Ennio Flaiano, che dapprima stupisce poi stufa.

Ne ha scritto su Internazionale Junko Terao, rispondendo di fatto ad alcune domande che mi ero posto durante il soggiorno.

Scrive: “È vero che il Giappone è invaso dai turisti e che certe mete, come la città di Kyoto, sono ormai inavvicinabili e invivibili per i residenti? A giudicare da quanto sui mezzi d'informazione - giapponesi e non - si parla di overtourism, di presenza insostenibile di visitatori stranieri e di necessità di correre ai ripari, parrebbe di sì. La nippomania sembra essere scoppiata più o meno contemporaneamente in tutto il mondo, dato che l'andamento degli arrivi negli ultimi dieci anni è più o meno lo stesso per tutti i paesi di provenienza: i turisti cinesi sono in testa alla classifica, seguiti dai sudcoreani e dagli occidentali - statunitensi ed europei - e poi dai taiwanesi e dai visitatori del sudest asiatico.

Oltre a un soft power che può contare su una vasta gamma di prodotti culturali sempre più accessibili e particolarmente efficaci - dal cibo ai manga/anime/videogiochi, dalle serie tv al cinema, ma anche arte e letteratura - probabilmente il fattore di attrazione determinante è lo yen debole, che rende la vacanza in Giappone più abbordabile e appetibile”.

E ancora più avanti: “In un pezzo intitolato Pride and pain of Japanophilia, uscito nei giorni scorsi sul Financial Times, Leo Lewis, capo della redazione di Tokyo del quotidiano britannico (oggi di proprietà del gruppo Nikkei), fa un'analisi interessante del fenomeno e dice che l'overtourism in Giappone è più una percezione dei giapponesi che una realtà. Una percezione originata dall'aumento repentino e massiccio dei turisti nell'arcipelago, fenomeno che indubbiamente ha creato delle difficoltà concrete, ma che più che altro ha preso alla sprovvista una società abituata a controllare tutto: "Poiché è accaduto all'improvviso, c'è una terribile sensazione di impreparazione in un luogo che fa del suo essere preparato motivo d'orgoglio. Si è dovuto abbandonare il senso di controllo che per tanto tempo ha caratterizzato il modo in cui il turismo interno è stato condotto e sviluppato per generazioni di “visitatori in pullman”. Il boom del turismo in entrata si è dispiegato come fenomeno dell'era dei social media, con tutta l'imprevedibilità che questo comporta". E ancora: ”Le immagini da incubo delle viuzze intorno all'imprescindibile Kiyomizu-dera di Kyoto stipate di turisti fioccano su Instagram, seminando il panico tra i giapponesi, abituati a vedere in quelle condizioni il ponte dei Sospiri, non certo l'antica capitale. Ma, come del resto anche a Venezia è ancora possibile fare, basta girare l'angolo e scostarsi dal percorso obbligato per uscire dalla folla. Come altrove, insomma, la percezione dell'invasione è data dal fatto che la massa di visitatori si concentra tutta negli stessi pochi luoghi ma, a differenza che in altri posti ormai irrecuperabili, qui il fenomeno è appena cominciato, dunque si può ancora correre ai ripari (la strategia del governo di Tokyo è far distribuire i milioni di visitatori in modo più equilibrato nel paese promuovendo mete e percorsi meno battuti)”.

Infine: “37 milioni di visitatori del 2024 sono pari alla porzione di giapponesi sopra i 65 anni (un terzo del totale della popolazione) e tre volte più di quelli sotto i 15 anni. E poi la storia del paese dimostra che ce la può fare: il Giappone moderno è stato progettato proprio a partire dalla necessità di sistemare grandi folle in spazi limitati”.

Certo che vale la pena di andarci!