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21 mar 2025

Non bastano slogan e bandiere

di Luciano Caveri

Questo rifiorire di attenzione per l’Europa, come bandiera politica, non può che fare piacere ad un europeista da sempre, quale mi ritengo.

Il Trattato di Roma entrò in vigore nel 1958, mio anno di nascita, per cui sento l’attuale Unione Europea come fosse una specie di coetanea con cui sono cresciuto.

Ogni generazione ha sue caratteristiche. Il mio bisnonno Paul, prefetto di carriera, visse l’Unità d’Italia con le guerre d’Indipendenza.

Mio nonno René l’Italia liberale e l’arrivo del fascismo sino alla Liberazione.

Mio papà Sandro fu testimone dei campi di sterminio, del boom del dopoguerra con la guerra fredda e di quanto avvenne sino a quando ci lasciò nel 2009.

Io, appunto, ho vissuto tante cose, ma il processo di integrazione europea è stato un costante fil rouge.

La fortuna ha voluto che vivessi per anni e ancora oggi in prima fila l’Europa nelle Istituzioni e anche mi sono occupato della ricaduta che la politica comunitaria ha avuto e ha sulla Valle d’Aosta com’è oggi.

Per questo, per quanto la mia Unione Europea ideale sarebbe ben più marcatamente federalista, resto militante della causa, pensando che lavoraci per migliorare i processi sia meglio che parlarne male o non occuparsene affatto.

L’importante è che l’europeismo non sia piegato alle esigenze ondivaghe della politica interna e si miri nell’evocarlo ad alimentare dispute solo italiane.

Così facendo si farebbe torto a tutte quelle personalità che hanno percorso dal 1945 in poi la strada lastricata di problemi per fare dell’Europa un vero e proprio soggetto politico.

Spesso nella storia italiana ci sono state manifestazioni o prese di posizione pro Europa che si sono sciolte come neve al sole. Si trattava quasi sempre di situazioni che possono ricordare il detto “parlare a nuora perché suocera intenda" e cioè rivolgersi a qualcuno con l'intenzione che qualcun altro senta e capisca che quelle parole sono rivolte a lui.

Del genere: evoco l’Europa, pensando invece agli equilibri politici a Roma e alle polemiche casalinghe più che ai grandi disegni continentali.

Si vedrà se sono malizioso e spero, invece, che questo sia un Alleluia foriero di impegni veri verso una dimensione sovranazionale, che sia rispettosa della famosa e negletta sussidiarietà.

Questa resta la differenza fra chi è europeista quasi per caso e chi crede nel federalismo che vive solo in connessione con la sussidiarietà.

La parola subsidium evoca l’antica Roma. Indicava infatti le truppe di riserva che venivano schierate dietro la prima linea di combattimento per intervenire in caso di necessità. Il subsidium era un supporto strategico, pronto a entrare in azione per rafforzare il fronte e garantire la vittoria.

Questa idea di un aiuto pronto a intervenire solo quando necessario è perfettamente in linea con il principio di sussidiarietà. Esattamente come nel contesto militare romano, dove le truppe di riserva non agivano se non in caso di bisogno, il principio di sussidiarietà stabilisce che un livello superiore di governo intervenga solo quando i livelli inferiori non sono in grado di gestire una determinata questione.

Questa connessione etimologica rafforza l’idea che la sussidiarietà non è solo un principio astratto, ma un meccanismo di efficienza e supporto, con radici profonde nella storia e nella strategia politica.

Questa mi sembra la differenza con chi usa slogan e innalza bandiere europee senza dire bene che cosa vuole per il futuro.