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15 feb 2025

Cristicchi nel mirino

di Luciano Caveri

Credo nella mia vita di aver riservato a pochi soggetti il termine “fascista”. Trovo che la parola abbia una sua precisa collocazione storica e non debba essere oggetto né di oblio e neppure di revisionismo. Chi prova con me distinguo o peggio riabilitazioni trova pane per i suoi denti e non solo per un possibile richiamo ad una famiglia antifascista quando erano pochi ad esserlo, ma per mia cultura e convinzione.

Ieri, ma ho dimenticato il nome per una salvifica memoria selettiva, sul Festival di Sanremo un tizio scrive, che bisognerebbe che Conti chiedesse a ciascun cantante se sia o meno antifascista.

Poi mi sono accorto di come il povero cantautore romano Simone Cristicchi sia finito nel mirino di sedicenti democratici perché “meloniano”, addirittura “eroe della destra”. Per cui è partito un tam tam da centro sociale contro di lui in cui appare il citato termine “fascista”.

Ed io, invece, tifo per la sua canzone, perché quella giudico e mi è piaciuta in barba alla ormai patetica Selvaggia Lucarelli, che passa da un giornale all’altra senza sosta, e che vive di un polemismoossessivo e giudica la canzone sulla mamma malata di Cristicchi “retorica e ridondante” o alla solita Annalisa Cuzzocrea su La Repubblica, cacciatrice di destrorsi. A me sono venute, invece, come a molti altri, le lacrime agli occhi ascoltandola questa canzone e questo effetto non ha nulla di ideologico.

Riavvolgo il nastro per chi non avesse seguito la questione. Lo faccio con un pezzo dell’articolo di Stefano Pistolini sul Foglio, che ricorda le vicissitudini del cantante che nel 2007 vinse il Festival con “Ti regalerò una rosa”, per poi cadere in un certo oblio: “Quest’anno finalmente il ritorno in stile con “Quando sarai piccola”, pezzo dedicato alla madre malata di Alzheimer, e stavolta succede qualcosa: fin dalla prima esecuzione la reazione in platea, in sala stampa e, s’immagina, anche dei telespettatori a casa, è di estrema commozione, al limite del turbamento collettivo, tra standing ovation, lacrime, emozione e partecipazione condivisa. La mamma anziana e malata, che non ci sta con la testa ma che è lì a rappresentare la tua storia, offrendoti di specchiarti in lei, è un tema che ha presa immediata, tocca corde sensibili, provoca tremiti di dolore e tenerezza”.

Segno di un successo che spiace a chi ho già citato e il giornalista lo scrive bene: “E qui, ripensando alle scalmanate ovazioni che adesso accolgono le sue apparizioni, il sospetto può tradursi in dispetto, perché il concetto suggerito è di un primato – etico? artistico? – che Cristicchi si sente riconosciuto nell’alveo dell’ecumenico Festival 2025. E in tutto questo distinguere, nel definire la parte dei buoni e dei giusti, nel sottoporre la povera musica leggera italiana a uno screening di nuova pulizia, a cui ascriviamo anche la frenesia con cui viene accolta la ballata della mamma malata, c’è il sapore acido di questo festival, la sensazione di una sua adesione a un invisibile, magari confusionario progetto. E così finiamo per vedere dei mostri annidati perfino nei capelli crespi di Cristicchi. Che, poveraccio, una volta tanto si gode un successo come si deve: lui, da lustri condannato a essere il fine dicitore di cui s’accorgono soltanto quelli della critica”.

Concordo perciò con Aldo Cazzullo che sul Corriere scrive su Sanremo, rispondendo ad un lettore: “Il testo di Simone Cristicchi è di un altro pianeta. Non conosco una persona che l’abbia ascoltato senza commuoversi. Anche chi non ha avuto una mamma malata di Alzheimer non può restare insensibile di fronte a parole così dolci, così definitive, così dirette. Cristicchi è un artista meraviglioso. I suoi spettacoli su san Francesco, sulla spedizione in Russia, sugli esuli istriani, giuliani e dalmati, sul trentatreesimo canto del Paradiso di Dante sono straordinari. «Per la società dei sani siamo sempre stati spazzatura/ questa è malattia mentale e non esiste cura» è il verso più forte scritto da un italiano dai tempi di «Povera patria» di Franco Battiato e «Com’è profondo il mare» di Lucio Dalla: «Siamo noi, siamo in tanti, ci nascondiamo di notte per paura degli automobilisti, dei linotipisti, siamo i gatti neri, siamo pessimisti, siamo i cattivi pensieri, e non abbiamo da mangiare...». Dalla il festival non l’ha mai vinto e non lo amava (un giorno vi racconterò perché). Cristicchi sì. Stasera nella serata delle cover canterà appunto una canzone di Battiato, «La cura». Ci commuoverà ancora. E il festival, si sa, lo si vince nella serata delle cover. È sempre difficile pronosticare il vincitore finale. A volte emerge una canzone molto popolare che però non può vincere, e si punta su un’altra destinata a non lasciare tracce: è accaduto l’anno scorso quando il Sud non potendo trionfare con Geolier fu premiato con la dimenticabilissima cumbia della noia; accadde nel 2010 quando per non far vincere Pupo e il principe si inventarono Scanu e l’amore fatto in tutti i laghi. Non so cosa accadrà stavolta. Ma se non vince Cristicchi, il festival, la Rai, la tv, la musica e tutti noi perdiamo qualcosa”.

In effetti, Simone Cristicchi con Amara, ieri sera ha interpretato con intensità "La cura" di Battiato.

Vedremo.