A giorni ci sarà la Festa dell’Autonomia valdostana e nell’occasione verrà ricordato - opportunamente stampato in versione bilingue (segno importante per la Valle!) - il discorso pronunciato dal Presidente Sergio Mattarella in occasione della sua visita dello scorso anno ad Aosta.
I discorsi presidenziali li trovate tutti in ordine sul sito del Quirinale: sono interventi sempre interessanti e documentati, cui spesso il Presidente aggiunge tocchi del tutto personali, consentiti dalla sua cultura e dalla vasta esperienza politica. In queste ore, il Capo dello Stato è stato gravemente insolentito dalla solita portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, per un passaggio del suo discorso pronunciato da Mattarella in occasione dell’ottenimento dell’onorificenza accademica di Dottore honoris causa dall’Università di Aix-Marseille.
Mi piace qui ricostruire ila vicenda per confermare la bontà delle tesi del Presidente e la volgarità degli attacchi che ha subito.
Dopo aver contestualizzato alcuni aspetti storici sul dopoguerra, il Presidente ha detto, facendo un passo indietro: “Una riflessione sul futuro dell'ordine internazionale non può prescindere da un esercizio di analisi che, guardando alle incertezze geopolitiche che oggi caratterizzano il nostro mondo, richiami alla memoria la successione di eventi, di azioni o inazioni, che condussero alla tragedia della Seconda Guerra Mondiale.
La storia non è destinata a ripetersi pedissequamente, ma dagli errori compiuti dagli uomini nella storia non si finisce mai di apprendere.
La crisi economica mondiale del 1929 scosse le basi dell'economia globale e alimentò una spirale di protezionismo, di misure unilaterali, con il progressivo erodersi delle alleanze. La libertà dei commerci è sempre stata un elemento di intesa e incontro. Molti Stati non colsero la necessità di affrontare quella crisi in maniera coesa, adagiandosi, invece, su visioni ottocentesche, concentrandosi sulla dimensione domestica, al più contando sulle risorse di popoli asserviti d’oltremare. Fenomeni di carattere autoritario presero il sopravvento in alcuni Paesi, attratti dalla favola che regimi dispotici e illiberali fossero più efficaci nella tutela degli interessi nazionali. Il risultato fu l’accentuarsi di un clima di conflitto - anziché di cooperazione - pur nella consapevolezza di dover affrontare e risolvere i problemi a una scala più ampia. Ma, anziché cooperazione, a prevalere fu il criterio della dominazione. E furono guerre di conquista.
Fu questo il progetto del Terzo Reich in Europa.
L’odierna aggressione russa all’Ucraina è di questa natura”.
Questa la frase secca che ha fatto arrabbiare Mosca, che è in torto marcio, perché l’invasione russa e le sue mire espansioniste ricalcano bene il cammino nazista, di cui la stessa Unione Sovietica fu complice nei primi passi del progetto hitleriano. E questo va ricordato senza dimenticare poi la svolta di Stalin e il ruolo sovietico nella sconfitta del nazismo.
Torniamo a Mattarella e a qualche spunto del suo intervento a Marsiglia, quando si è rivolto agli studenti: “Il vostro attuale destino, le condizioni in cui viviamo in Europa, sono frutto delle scelte fortemente volute dopo la Seconda Guerra Mondiale, guardando proprio ai milioni di morti delle guerre del Novecento. Cooperazione e non competizione. Fraternità laddove regimi e governi avevano voluto seminare odio. Penso alle centinaia di migliaia di giovani che la Seconda Guerra Mondiale strappò alle aule universitarie, alle loro famiglie. Sul rifiuto di cedere alla violenza della prepotenza, sul sacrificio di quelle generazioni, abbiamo costruito il più lungo periodo di pace di cui l’Europa abbia goduto. Settant’anni di pace.
L’umanità sembrava esser divenuta consapevole di essere legata a un destino comune, a una unica responsabilità”. Mattarella ha ricostruito il quadro dei delicati equilibri raggiunti negli anni. Per poi più avanti osservare rispetto alle crisi in corso: “È il momento di agire: ricordando le lezioni della storia e avendo a mente il fatto che l’ordine internazionale non è statico. E' un’entità dinamica, che deve sapersi adattare ai cambiamenti, senza cedimenti su principi, valori e diritti che i popoli hanno conquistato e affermato” E più avanti ancora l’ammonimento: “La pace non è un dono gratuito della storia.
Che statisti e popoli, per conseguirla, devono dispiegarvi il loro impegno. Che la pace occorre volerla, costruirla, custodirla. Anche con la paziente messa in campo di misure di fiducia. Basti pensare alla vera e propria batteria di accordi e trattati internazionali che, nei decenni, l’hanno corroborata. Cosa rimane di tutto ciò?
Passo dopo passo, i principali protagonisti hanno, dapprima, iniziato a violarli e, poi, a denunciarli. Quale diventa, quindi, il prezzo della sicurezza? La minaccia dell’uso, se non la pratica, della violenza? Si tratta di interrogativi che riguardano, in primo luogo, proprio l’Unione Europea.
L’Europa intende essere oggetto nella disputa internazionale, area in cui altri esercitino la loro influenza, o, invece, divenire soggetto di politica internazionale, nell’affermazione dei valori della propria civiltà? Può accettare di essere schiacciata tra oligarchie e autocrazie? Con, al massimo, la prospettiva di un “vassallaggio felice”. Bisogna scegliere: essere “protetti” oppure essere “protagonisti”? L’Italia dei Comuni, nel XII e XIII secolo, suggestiva ma arroccata nella difesa delle identità di ciascuno, registrò l’impossibilità di divenire massa critica, di sopravvivere autonomamente e venne invasa, subì spartizione.
L’Europa appare davanti a un bivio, divisa, come è, tra Stati più piccoli e Stati che non hanno ancora compreso di essere piccoli anch’essi, a fronte della nuova congiuntura mondiale. L’Unione Europea è uno degli esempi più concreti di integrazione regionale ed è, forse, il più avanzato progetto - ed esempio di successo - di pace e democrazia nella storia. Rappresenta senza dubbio una speranza di contrasto al ritorno dei conflitti provocati dai nazionalismi. (…) L’Europa, ricordava Simone Veil al Parlamento Europeo, nel 1979, è consapevole che “le isole di libertà sono circondate da regimi nei quali prevale la forza bruta. La nostra Europa è una di queste isole”.
Restare arroccati su quest’isola non è la risposta: abbiamo bisogno di un ordine internazionale stabile e maturo per reagire all’entropia e al disordine causate dalle politiche di potenza, e per affrontare le grandi sfide transnazionali del nostro tempo”.
Una spinta europeista che condivido e che - con le attuali scelte di Trump - mostra la necessità, ben chiara nel Presidente Mattarella, di un ruolo essenziale dell’Unione europea e questo non piace agli autocrati già evidenti e a chi studia per diventarlo.