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13 feb 2025

Invecchiare con Sanremo

di Luciano Caveri

Dopo una trasferta particolarmente complicata, finito sul divano di casa al mio rientro, mi sono impadronito del telecomando come un Fantozzi qualunque e ho guardato un pezzo della prima serata di Sanremo (e ieri sera sono tornato di nuovo).

Mi sono interrogato sul perché lo facessi e quale riflesso condizionato mi costringesse a mettermi di fronte allo schermo.

Partendo ovviamente dal primo flash e cioè i due conduttori principali: Carlo Conti e Gerry Scotti (da deputato era seduto in aula nei miei pressi e non capiva un tubo né di politica né del lavoro parlamentare), ormai come me pezzi da museo.

Tutto avviene, malgrado le scenografie che trasformano un cinema teatro sfigato come l’Ariston in un concentrato di scenografie innovative e, come sempre, un pò Kitsch.

Esemplare il pubblico dei grandi raccomandati, specie nelle prime file, con parenti, amici, figli, i sodali nella logica italiana del “teniamo famiglia”. La si rivede poi negli ospiti, nel filone dei manager che gestiscono gli artisti con le loro diverse scuderie. Per non dire dei “Maestri”, che si succedono sul podio della direzione dell’orchestra, che penso vengano scelti per la loro intrinseca bizzarria.

Dietro le quinte ci sono poi i sarti degli stilisti che fanno veri e propri esperimenti sui corpi dei cantanti e questo dei look inguardabili è sempre stato un punto di forza del Festival. Sulle canzoni si va a gusti personali su cui non si può dire niente, se non che alcuni brani banalissimi si scopre abbiano una selva di autori, manco dovessero creare chissà quale opera d’arte collettiva.

Sono comunque cresciuto con Sanremo, trattandosi di una vera e propria tradizione, e parlarne ha qualcosa di rassicurante. Da bambino, con la tv in bianco e nero, era nel flusso delle scelte familiari. Nelle gite scolastiche sul pulman d’ordinanza cantavano le canzoni del Festival, persino aiutati da una specie di bignamino tascabile che ne riportava i testi. Da ragazzo era una bella occasione per stare con gli amici a guardare – tra risate e prese in giro quei cantanti e quelle musiche che non sempre corrispondeva ai nostri gusti. Poi, con i figli, si è ripreso il giro dei nostri genitori.

In fondo Sanremo è come un utero materno, rassicurante come un nido. Per quanto alcuni passaggi possano fare orrore, si tratta di una festa comandata, cui è difficile sottrarsi e gli ascolti televisivi confermano questa situazione ipnotica.

Tuttavia, si nota di come l’Italia sia un Paese vecchio, che si attacca – come fa Linus con la sua copertina – a qualunque cosa risulti rassicurante in un mondo turbolento e senza bussola. Specie la RAI, per l’assoluta incapacità di rinnovarsi nelle morse di una partitocrazia che cambia per essere sempre la stessa, ha smesso da tempo di avere elementi innovativi. Chi ci ha vissuto dentro sa bene che a far carriera sono quasi sempre raccomandati, in gran parte mediocri e quindi la ripetitività del già fatto diventa il loro mantra. Ho conosciuto dei cretini stellari che si sono arrampicati sino a posti importanti e le loro scarse qualità finiscono per incidere sul prodotto finale e piano piano a guardare la RAI sono solo più le vecchie generazioni e le trasmissioni finiscono per essere da ospizio per tenersi almeno quella fascia di pubblico.

Ma Sanremo resta Sanremo, anche se la scure dei rischi che finisca per essere messa all’asta la manifestazione - come ipotizzato dal TAR ligure - innescherebbe suicidi di massa nel Palazzo del potere Rai di Viale Mazzini (luogo pericolosissimo essendo pieno di amianto!), perché perderebbero una delle sole certezze. Sarebbe istruttivo per chi ha trasformato il Servizio pubblico in un carrozzone romanocentrico, appendice nei vertici del peggio del servilismo politico con la caratteristica di sentire il vento. Ci sono specialisti che veleggiano da un partito all’altro, secondo le stagioni. Intanto, fuori dai cattivi pensieri, riguarderò qualche momento sanremese per ridere, per dare la stura a qualche nostalgia, per ammirare qualche canzone e qualche cantante, pensando a quanta storia d’Italia del dopoguerra per essere passata di lì. Mancava il Papa, che è arrivato inaspettato ospite, ripreso in modo indegno con colori improbabili e con una brutta postura che deve far vergognare chi ha registrato il messaggio. Chiunque lo abbia rappresentato così, con un vero e proprio dilettantismo professionale, andrebbe cacciato e speriamo che se ne ricordi San Pietro al momento giusto e lo spedisca negli Inferi.