Chissà quale patologia affligge i nemici dello sci, che vedono il cambiamento climatico come una sorta di nemesi.
Nella mitologia greca Nemesi era la dea della giustizia retributiva e della vendetta divina, incaricata di punire l’arroganza e la tracotanza (hýbris) degli uomini.
In senso figurato indica una punizione inevitabile o un destino avverso che colpisce chi ha commesso un torto o un eccesso. Posizioni ideologiche i cui danni per le popolazioni di montagna possono essere enormi.
Molti degli adepti di certo ambientalismo estremista vengono dalla Sinistra radicale: finito il sogno della rivoluzione, si sono imbarcati nell’ ambientalismo estremo. La battuta è stranota ma efficace: sono come il cocomero, rossi dietro e verdi fuori.
Altri con un atteggiamento radical-chic hanno un approccio quasi religioso: la loro nuova fede si afferma in una testardaggine da comitato e da carta bolllata. Dove non riesce la Politica emerge la denuncia alla Magistratura, come minaccia per chi non reagisce ai loro diktat, essendo loro tenutari della Verbo e chi obietta finisce nel mirino. Questo significa non scendere a patti con il nemico: il NO duro e puro è la sola parola e si moltiplica come un’eco in una vallata.
Piccoli cenacoli - gli stessi sotto diverse vesti nei loro gruppuscoli fotocopia - ricorrono così a petizioni, marce che somigliano a pellegrinaggi, attacchi con comunicati stampa a raffica, esposti ovunque e la berlina per chi affermi il contrario. Manca il rispetto per le posizioni altrui come avviene nelle sette.
Lo sci diventa così l’avversario del Sistema e gli impianti di risalita il Demonio, perché - con loro soddisfazione - la neve cade meno che in passato e dunque bisogna chiudere tutto e cambiare registro.
Quale sia questa modellistica appare oscuro: quel turismo “dolce” in salsa pauperistica i cui contorni sono indeterminati in una visione utopistica del tutto disancorata dalla realtà. Ma quel che conta è dare contro, alimentare la polemica, bloccare i cantieri e recitare, come rosari infiniti, lamentele verso i cattivi.
Basta andare di domenica in una località sciistica qualunque o guardare il flusso delle settimane bianche sulle Alpi per capire come questa nuova religione non raccolga così tanti adepti e che le contromisure - come l’aborrita neve artificiale e funivie più in alto di quota - siano il volano dell’economia e non farina del Diavolo e di quel capitalismo rapace che alcuni combatterono nelle piazze.
Questo non significa affatto non avere consapevolezza sulle conseguenze dell’innalzamento delle temperature e delle sue conseguenze sulla Natura, sul tessuto sociale e per l’economia.
Ma la drammatizzazione e la fretta di buttare tutto all’aria non sono scelte razionali e perseguono un disegno politico di “presa del potere”, dopo averci provato in altro modo per decenni senza successo.
L’ambientalismo è fondamentale per la tutela del pianeta e patrimonio comune per chi abbia un minimo di senno, ma quando assume forme estreme può comportare rischi e criticità.
Alimentare sempre e solo conflitti genera una polarizzazione che rende più difficile il raggiungimento di compromessi efficaci per il famoso “bene comune”.
L’uso di narrazioni apocalittiche può generare panico e sfiducia nella popolazione, con il rischio di portare a decisioni impulsive o inefficaci, anziché a politiche sostenibili e razionali. Il contrario di quanto si chiede.
Insomma: bisogna evitare certe sirene, quelle che suonano con allarmi chiassosi eccessivi e le creature mitologiche dal canto irresistibile, capaci di incantare i naviganti e farli naufragare.