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10 feb 2025

Il linguaggio militaresco

di Luciano Caveri

Esiste una tendenza sempre esistita di adoperare in politica il linguaggio militaresco e certa polarizzazione nel dibattito politico peggiora le cose.

Ricordo come la polarizzazione sia il processo per cui le opinioni e le posizioni dei cittadini, dei partiti o dei gruppi sociali si estremizzano, creando una netta divisione tra schieramenti opposti. Quando la polarizzazione è alta, il dibattito politico diventa più conflittuale e meno incline al compromesso e questa estremizzazione inquina il confronto democratico.

Dicevo del linguaggio bellico: sentiamo da sempre espressioni di questa origine quando si dice “fare quadrato”, “scendere in campo”, “difendere a spada tratta” o ancora “franco tiratore”, “fuoco amico” o “crociata”.

Ho letto che la professoressa Giulia Bassi, docente di Storia dei movimenti politici e sociali all’Università degli Studi di Milano ed esperta del linguaggio dei partiti politici nell’Italia del Novecento, come l’uso di lessico legato alla sfera della guerra non sia certo una novità.

Dice, infatti: “L’uso di metafore, non solo di tipo bellico, è tanto vecchio quanto la politica stessa, potremmo dire”. Aggiunge: “Il discorso politico è ogni produzione linguistica che mira a persuadere. Le metafore sono figure retoriche che implicano un trasferimento di significato: rafforzano il concetto che si vuole veicolare, potenziando la performatività del messaggio. Quindi è naturale che, in quanto strumenti altamente comunicativi, siano un ingrediente chiave della politica".

Usa come esempio l’Inno di Mameli e basta una frase per capirci: “Stringiamci a coorte, siam pronti alla morte, Siam pronti alla morte, l'Italia chiamò”. Un evidente caso di linguaggio guerresco.

Perché ne parlo? La ragione è semplice: anche in Valle d’Aosta ci si sta avvicinando alle elezioni regionali, che sono appuntamento importante per la nostra piccola democrazia nel cuore delle Alpi.

Ci si prepara così a quella sorta di battaglia simulata a colpi di schede elettorali, alla fine di quella che - tanto per ribadire il concetto - si chiama “campagna elettorale” e gli schieramenti si stanno definendo non senza le ambiguità di chi osserva il terreno di confronto ancora indeciso sul da farsi. Ho vissuto direttamente una decina di campagne elettorali direttamente e sono dunque - ecco di nuovo! - un veterano e, al momento, non ci sono ancora le candidature e dunque non so se sarò nella tenzone (termine occitano dolce che deriva dallo scontro fra poeti!).

Ma anche il termine “candidato” è utile: proviene dal latino candidatus, che significa “vestito di bianco”. Ciò deriva dall’idea che il bianco rappresenti la trasparenza morale e l’integrità del candidato, anche se, nella pratica, la politica romana era spesso tutt’altro che pura.

Questo lo dico perché mi accingo ad esprimere una speranza, ma senza voler far credere che la Politica sia una cosa così algida da prevedere solo regole cavalleresche o comportamenti da orsoline.con spirito ecumenico.

È stato l’ex Ministro Rino Formica a dire che “La Politica è sangue e merda” e non si può far finta di niente sul fatto che sia dura la battaglia (rieccoci!) nell’agone politico alla ricerca del consenso.

Tuttavia, a rischio di sembrare ingenuo, mi auguro davvero - perché intravvedo certi pericoli - che certi toni esacerbati delle posizione estreme (la similitudine fra estrema destra e estrema sinistra risulta evidente nei fatti) vengano considerati in primis dagli elettori come una malattia perniciosa per la democrazia.

Sono atteggiamenti elettoralistici, spesso intrisi di tracotanza e persino di elementi degni della psichiatria, che avvelenano i pozzi (anche qui l’orrore della guerra!) e allontanano dalla necessità - mai come oggi - di riconoscersi su alcuni valori democratici come collante comune.

La violenza verbale, l’odio verso il “nemico” politico, un lessico esagerato nelle espressioni, il disprezzo delle posizioni altrui. Si tratta di situazioni pericolose e dannose ed è bene ribadirlo e ci vuole un cordone sanitario contro la radicalizzazione del dibattito pubblico.