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26 gen 2025

Il cattivo, il cretino e l’ibrido

di Luciano Caveri

Qualche premessa personale la vorrei fare. Per altro, nelle chiacchiere con gli amici, capita spesso di chiedersi se siano peggio i cattivi o i cretini.

Terribile dilemma che ciascuno interpreta come vuole e che può assumere aspetti scherzosi o anche, all’opposto, drammatici, a seconda delle circostanze

Una delle citazioni più famose su questo argomento viene da Carlo Maria Cipolla, un economista italiano, che nel suo saggio Allegro ma non troppo enuncia la “Legge fondamentale della stupidità umana”: “Una persona stupida è più pericolosa di una persona malvagia.”

Cipolla spiega che una persona malvagia, facendo del male, potrebbe almeno trarre un vantaggio personale, mentre una persona stupida danneggia gli altri senza trarne alcun beneficio, anzi spesso danneggiando anche sé stessa.

La parola “cattivo” deriva dal latino “captivus”, che significa “prigioniero” (da captus, participio passato di capere, “prendere”)

In origine, il termine indicava chi era fatto prigioniero in guerra, quindi una persona in condizione di sofferenza o subordinazione. Col tempo, il significato si è evoluto: essere “prigioniero” delle proprie bassezze morali o dei propri istinti ha portato a identificare il termine con qualcuno di moralmente negativo, malvagio o malintenzionato.

Ha scritto Antonio Polito nella sua rubrica su Sette: “Tempi duri per i troppo buoni, recitava lo slogan di un’azienda di biscotti in un vecchio Carosello degli Anni 70. Quasi una profezia: oggi vanno di moda i cattivi.

Capisco che il buonismo ha rotto, troppo vuoto, melenso, piacione. Ma qui si esagera. Un lettore, Giuseppe Ballero, anziano insegnante in pensione, mi segnala che la “cattiveria” è diventata così ammirata da essere ormai adottata nel gergo sportivo come un termine positivo, al posto di concetti come forza, vigore, incisività, agonismo, veemenza. «Siamo stati troppo poco cattivi sotto porta», è la giustificazione ormai abituale dell’allenatore che ha perso la partita, pronto a rivendicare al proprio genio la qualità e la mole del gioco, e a riversare invece sui suoi calciatori la colpa di averla vanificata con flaccidità e irresolutezza in area di rigore. Oppure: «Potevamo andare a fargli male…», altro mantra calcistico per cui una buona azione offensiva è presentata come un atto di cattiveria”.

Ma sino a qui non c’è. Nelle poche cronache sportive di quand’ero giornalista televisivo ero piuttosto goffo nell’uso del gergo dei colleghi che si occupano di sport.

Insiste Polito: “Ma se queste sono metafore sportive, ben maggiore successo stanno avendo i cattivi in campi molto più gravidi di conseguenze per la vita del mondo. Putin, per esempio, è il cattivo per eccellenza, nel senso che ama anche presentarsi come tale: un duro, uno che punisce i nemici, uno che non esita a sparare se necessario. Piace molto al suo popolo, pare, proprio per questo. Per non dire di Trump, che ha conquistato per la seconda volta la Casa Bianca non nonostante, ma anzi grazie alla cattiveria di cui si è dimostrato capace: l’istigazione dell’attacco a Capitol Hill del 6 gennaio di quattro anni fa, che sembrava averlo messo per sempre in un angolo della democrazia americana, è stata dimenticata, forse giustificata, sicuramente condonata.

Si parva licet, la politica italiana non è da meno. Matteo Salvini ha costruito le sue passate fortune (ora sempre più in declino) proprio sul mito di “Cattivissimo Me”. Ve lo ricordate quando andava in giro con la felpa invocando a gran voce una ruspa per radere al suolo i campi rom? Oppure quando impediva ai migranti, donne e bambini compresi, di toccare terra? Giorgia Meloni stessa, oggi dotatasi di un aplomb molto più istituzionale ed ecumenico, ha mosso i suoi primi passi nell’arena politica da gran cattiva. Disposta a blocchi navali, e pronta a mettere fine alla «pacchia» in Europa, è per nostra fortuna scesa a più miti consigli: pare che solo la grazia di Stato, l’assunzione di responsabilità di governo, faccia il miracolo di moderare la cattiveria in politica, tanto invece gradita sul mercato dei voti. Ma non li possiamo mica mandare tutti a Palazzo Chigi, per renderli più buoni!”.

Mi fermo qui con le citazioni di Polito, che ammiro da sempre per la capacità di trattare i temi con grande sagacia.

Mi resta, infine, un terribile dubbio. Come cataloghiamo - e ne vado di attivi anche nella politica, pure nella piccola Valle d’Aosta - il cretino-cattivo? È un mix micidiale che pone chi ne possiede le caratteristiche in posizione elevata, come le famose cubiste dei tempi delle discoteche.