La cooperazione trasnfrontaliera è una cosa seria e detta da un valdostano credo che valga ancora di più.
Lo scrivo all’indomani della firma di un accordo, che ho seguito fin dall’inizio, fra la Valle d’Aosta e l’Haute-Savoie, il Département che si trova giusto dall’altra parte del Monte Bianco con città simbolo come Chamonix, bellezze come i laghi di Annecy e quello Lemano, stazioni sciistiche come Megève, una straordinaria cucina e una florida economia.
Per noi valdostani storicamente il confine non esisteva, essendo entrambi i territori sotto Casa Savoia e il distacco della Savoia verso la Francia nel 1860 fu una vera ferita, che ci trasformò in minoranza linguistica.
Fu un passaggio doloroso, pensando proprio a legami antichi, testimoniati sin dal Neolitico, culminati poi – come negatività – con la famosa “pugnalata alle spalle” della dichiarazione di guerra voluta da Mussolini nel 1940, quando i francesi combattevano contro la Germania nazista. Una guerra che fu la premessa ai disastri militari del Fascismo che si susseguirono uno dopo l’altra.
Il dopoguerra, per fortuna, ebbe momenti importanti e fra questi spicca l’apertura del Traforo del Monte Bianco nel 1965 con un de Gaulle, Presidente francese, che parlò dei “cousins valdôtains”.
Ma la cooperazione trasnfrontaliera non esisteva e i due territori erano per gli Stati rispettivi dei cul-de-sac. Grazie all’Unione europea e a volontà locali rimaste alimentate in qualche modo, i rapporti sono ripartiti e Interreg è stato un caposaldo, pensando ai progetti europei che nel solo periodo fra il 2016 e il 2020 hanno cubato per circa 16 milioni di euro.
Ma il quadro di rapporti riguarda oggi altre possibilità, come l’Euroregione AlpMed da far ripartire, il lavoro comune nella Macroregione Alpina, che è ben altra cosa rispetto a quella Convenzione delle Alpi che è stata un tradimento. In Italia lo è in particolare per il mancato coinvolgimento delle Regioni ai sensi della legge del 1999 che fu frutto del mio impegno alla Camera.
Ma oggi lo scenario più significativo, che non può fallire per certa indifferenza degli Stati, è lo strumento, in vari settori, del Trattato del Quirinale, che rilancia i rapporti Italia-Francia e fa dei territori confinanti un perno importante. Quando con gli amici savoiardi abbiamo ben capito il momento propizio, abbiamo sottoscritto un’intesa in luoghi simbolici. Da loro al Col de la Voze sopra Saint-Germain- les Bains, raggiungibile in tramway e da lì parte la via più breve verso la vetta del Bianco. Da noi, invece, ciò è avvenuto a punta Helbronner, raggiungibile con la bella funivia nota come Skyway, con vista da lassù sulla stessa cima.
Ore di festa, di comunione, di scambi di idee su diversi filoni che sono nell’accordo. Economia, cultura, giovani, sociale e molte altre cose, frutto di questa diplomazia di vicinanza, senza tanti fronzoli e che mira al sodo e per noi anche occasione per ricordare l’importanza della nostra francofonia e della comune appartenenza al mondo della montagna. Spesso loro vengono da noi e noi da loro e ci si sente come a casa nostra.
Questo spirito va ulteriormente alimentato, perché questa è l’Europa molto più di tanti discorsi e troppa retorica. Fu Giovanni Paolo II, quando celebrò una messa di fronte allo scenario del Monte Bianco nel lontano 1986, a dire come quella montagna così maestosa fosse un vero simbolo dell’integrazione europea e lo fece, con logica visionaria, guardando ai popoli dell’Est e del Centro Europa, allora ancora sotto il giogo comunista prima della caduta del muro di Berlino, dicendo che prima o poi sarebbero tornati in Europa. E così è avvenuto.