Ogni volta in cui viene in Valle d’Aosta un autorevole esponente dell’antimafia - in genere ospite di qualche politico che se ne occupa o di associazioni che egualmente lo fanno da anni - si fa scattare l’allarme, del tutto legittimo, sui rischi di infiltrazioni pericolose anche da noi.
È una storia ormai vecchia e certamente fondata e basta guardare a tutto il Nord Italia e solo un cretino potrebbe sottostimare i rischi, così come sarebbe illogico amplificare in una logica allarmistica o strumentale l’assioma Mafia=Valle d’Aosta.
D’altra parte a parlare sono una serie di esiti processuali sul tema e sono quelli a fare testo, perché solo le sentenze concretizzano i reati. Per cui è giusto il modus in rebus e evitare che si materializzi una propensione alla drammatizzazione di professionisti dell’antimafia.
La famosa espressione“professionisti dell’antimafia” è attribuita a Leonardo Sciascia, il noto scrittore siciliano. Egli la utilizzò in un articolo pubblicato il 10 gennaio 1987 sul quotidiano Il Corriere della Sera, intitolato “I professionisti dell’antimafia”. Una definizione che gli costò critiche feroci da parte di chi si sentì colpito, ma restano i libri di Sciascia di denuncia della Mafia e delle sue pratiche, che sono ben più efficaci di certe speculazioni e dimostrano soprattutto la ferma condanna del fenomeno da parte dello scrittore. Detto questo, quel testo di Sciascia criticava l’uso strumentale dell’antimafia da parte di alcune figure pubbliche che, a suo avviso, sfruttavano la lotta contro la mafia per ottenere visibilità, potere o vantaggi personali come l’emergere in politica dopo un’esperienza da magistrato. L’articolo generò un acceso dibattito, soprattutto perché conteneva una critica implicita ad alcune scelte del sistema giudiziario, come la nomina di magistrati particolarmente impegnati nella lotta alla mafia. Fra questi c’era anche quel Paolo Borsellino, poi ucciso tragicamente e questo nocque di sicuro a Sciascia, indebolendo la sua posizione.
In questi giorni ad Aosta - a rappresentare il volto di chi la faccia contro le mafie ce l’ha messa - sono venuti il procuratore capo di Napoli, Nicola Gratteri prima procuratore capo in Calabria, assieme ad Antonio Nicaso, esperto di mafie e di criminalità organizzata, durante la presentazione del loro ultimo libro 'Una cosa sola' (Mondadori).
Riporta l’ANSA: “Troppo facile - ha detto Nicaso - scaricare la colpa sui meridionali, sui calabresi che sono venuti al Nord. Non sono venuto qui a difendere i calabresi, non ne hanno bisogno. Ma bisogna dire le cose come stanno: le mafie non sono venute al Nord come un virus a infettare un territorio sano, bensì hanno trovato un territorio fertile e la politica è stata miope".
Personalmente non ho mai avuto miopia in nessuno dei ruoli ricoperti, specie da deputato e Presidente della Regione, e ho sempre chiesto negli anni a chi se ne occupava per lo Stato quale fosse la situazione locale, ricevendo sempre informazioni rassicuranti con qualche rara eccezione. Che mi pare sia grossomodo quel che è emerso in processi negli esiti finali in Cassazione e a questo mi rifaccio e non alle preoccupazioni per qualche cosa di altro che non sarebbe ancora emerso. E se esiste qualcosa di altro spetta a forze dell’ordine e Magistratura fare quanto necessario a tutela della nostra comunità.
Ho apprezzato, da quanto scritto sempre dall’ANSA, la posizione pacata di Gratteri: ”Dove ci sono tossicodipendenti ci sono venditori di cocaina. Ai venditori di cocaina la droga la vende la 'ndrangheta e con quei soldi cerca di comprare tutto quello che può anche in Valle d'Aosta, e quindi ristoranti, pizzerie, alberghi”
E ancora: “Non sono esperto di Valle d'Aosta, posso dire però per quella che è la mia esperienza, che le mafie sono dove possono gestire denaro e potere. La Valle d'Aosta rispetto ad altre aree è considerata una zona ricca, una zona dove ci si può muovere e lavorare dal punto di vista criminale''.
Questo vuol dire vigilare e guardare a fondo gli interessi più grandi che possono spingere come molle gli affari della ‘ndrangheta ed è ovvio che chiunque ne fosse complice dovrebbe essere gravemente perseguito e avere il disprezzo degli onesti.