Anche quest’anno - per la seconda volta - ho preso parte ad un evento del Sommet Grand Continent, svoltosi in Valle d’Aosta a Saint-Vincent. È stata quella cui ho partecipato una piccola sessione, incentrata sulla dimensione alpina, rispetto ai numerosi incontri monotematici che hanno impegnato personalità di diversa estrazione culturale. Il legame con la Valle deriva dal ruolo centrale di Gilles Gressan, valdostano da tempo a Parigi, figura interessante di intellettuale cosmopolita e multimediale.
Il fil rouge su cui con altri sono stato impegnato nel confronto è stata la digitalizzazione e l’uso dell’Intelligenza Artificiale, per cui non suoni strano che lasci a ChatGPT il compito di spiegare che cosa sia il Gran Continent.
In termini generali: “Il Grand Continent è un concetto che si riferisce a una visione geopolitica, culturale e strategica dell’Europa intesa come uno spazio che si estende oltre i confini tradizionali dell’Unione Europea, includendo anche le sue dimensioni geografiche e storiche più ampie. È un termine che si usa per discutere temi complessi”.
Più avanti l’IA specifica: ”Il termine è stato anche associato a piattaforme di dibattito, come la rivista Le Grand Continent, che promuove analisi e discussioni su temi come politica, diritto, economia e relazioni internazionali, con un approccio transnazionale e interdisciplinare”.
Ricevo, ad esempio, una volta la settimana una lettera domenicale di GC (acronimo facile da capire), che di fatto centra l’esito principale delle riunioni di quest’anno al centro congresso dell’Hotel Billia.
Ricordando il Vangelo secondo Giovanni (Gv 11:1-44), dove Gesù riporta alla vita terrena Lazzaro, si potrebbe dire: “Europa, alzati e cammina”.
La lettera di domenica inizia, ricordando che nella sala più importante delle Nazioni Unite a New-York c’è dietro al podio il marmo verde valdostano e riporto le frasi iniziali con la stessa metrica:
“Siamo a New York.
Il freddo dell’East River, a Manhattan.
Corbusier, Harrison, Niemeyer.
Un monolite nello skyline.
Avrete già visto mille volte la sede delle Nazioni Unite.
Il podio da dove i leader del mondo si rivolgono al mondo.
Eppure, come a teatro, gli spettatori dovrebbero prestare maggiore attenzione alla scena, soprattutto quando il testo spesso non è indimenticabile.
I grandi del mondo parlano davanti a una lastra di marmo verde.
Ora che ce l'avete davanti, non potete più vedere nient'altro.
È la storia di una pietra rotta: la serpentinite.
Questa roccia singolare proviene dall'Europa.
Si estrae da una lastra ofiolitica delle Alpi, vicino a Châtillon, in Valle d'Aosta.
La serpentinite è nata da una forma di violenza pura.
Milioni di anni fa, per un tempo immemorabile, le rocce ultrabasiche sono state trasformate dalle forze idrotermali, i loro minerali riorganizzati in schemi caotici ma complessi.
Questa lastra porta le cicatrici della sua creazione: scistosa sotto un'immensa pressione, piegata durante un secondo sconvolgimento tettonico e fratturata in frammenti sospesi in una matrice serpentina.
Con la sua presenza fredda e inflessibile, la serpentinite ci ricorda una verità inquietante: quasi tutto ciò che poggia su un equilibrio - Stati, nazioni, sistemi finanziari - nasce dalla pressione e dalla violenza.
Anche se li lucidiamo quando li mettiamo in scena - il marmo del podio dietro cui parla Volodymyr Zelensky sembra brillare - le crepe sono sempre lì”.
E ancora: “Siamo nel cuore dell'Europa.
In una stretta valle incastonata tra le vette più alte del continente.
La bellezza delle Alpi svizzere, ma la nostra cucina.
Siamo qui con amici, firme da tutto il mondo, da Kiev a Buenos Aires, da Rabat a San Francisco.
Per il secondo anno consecutivo, Le Grand Continent ha organizzato il suo evento annuale nella terra del marmo verde: il Grand Continent Summit”.
Più avanti si specifica il legame o meglio metafora fra la situazione geopolitica mondiale e il marmo verde fissurato:
“Dietro la facciata liscia di un podio, nelle pieghe di una scenografia, la pietra non smette mai di rompersi.
Di fronte agli economisti più influenti d'Europa e degli Stati Uniti e a una ventina di ministri e commissari europei, uno dei partecipanti al Grand Continent Summit si è chiesto se non stessimo “vivendo un momento pre-rivoluzionario”. Se il mondo è rotto, vale davvero la pena spendere tutte le nostre energie per preservare un equilibrio illusorio, o dovremmo invece usare tutte le nostre forze per romperlo meglio?”.
La domanda provocatoria è in una frase più avanti: “Al contrario, abbiamo bisogno di un'Europa che accetti il proprio dissesto, la propria rottura. Al momento sembra che tutti si concentrino sulla coesione dell'Europa, ritirandosi come in una tempesta. Ma forse la strada da seguire è quella di smettere di aggrapparsi così strettamente e iniziare a ripensare a ciò che l'Europa potrebbe essere”.
Un europeismo realista e non retorico, che condivido e senza il quale siamo fritti.