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08 dic 2024

Ripetere una bugia perché sia verità

di Luciano Caveri

Mi hanno sempre fatto impressione, sin da quando ero ragazzino, i miei coetanei – ne ricordo uno che poi passò all’estremismo opposto, come fosse un vizio -che si dicevano, con una fierezza farsesca, “fascisti”. In genere i soggetti avevano qualcuno in famiglia che, nostalgico del regime, li aveva indottrinati con le solite baggianate rétro.

Ricordo a proposito il libro di Francesco Filippini “Mussolini ha fatto anche cose buone”, sottotitolo “Le idiozie che continuano a circolare sul fascismo”. Si tratta di un testo esemplare, che andrebbe imposto da ripetere come un mantra a tutti gli ignoranti. Saper rileggere la Storia è un dovere, falsarla un delitto. Il libro è utile sin dalla prefazione dello storico torinese Carlo Greppi, che non a caso ricorda il percorso diverso di una Germania che ha scavato a fondo nella riflessione sul Nazismo rispetto ad un'Italia "perdonista", che ha difatti agevolato certi rigurgiti che oggi ammorbano la nostra democrazia.

Ci vogliono dunque cultura e informazione e Greppi cita Renzo De Felice, che ebbe il coraggio di guardare con equilibrio al Ventennio: ”I fatti sono assai più eloquenti e persuasivi delle filippiche di certo antifascismo da comizio e di tante schematizzazioni che fanno acqua da tutte le parti”. Filippi acqua non ne fa e, con la pazienza di un orologiaio, smonta meccanismi imperfetti di propaganda vecchia e nuova e, per chi volesse approfondire, c'è un potente apparato bibliografico, argomento per argomento.

La logica è segnalare la reale portata della nota frase all'inizio della premessa, che ricorda la filosofia del ministro della Propaganda nazista, Joseph Goebbels: ”Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte, e diventerà una verità”, cui Filippi contrappone una cristallina verità: ”La base di un possibile futuro totalitario passa anche dalla riabilitazione del passato totalitario. Mostrare la realtà di quel passato è un primo passo per evitare che quel passato diventi futuro”. L'autore, in modo schematico e cartesiano , smonta dunque una serie di balle nel nome della solita frasetta deleteria ”quando c'era Lui”.

Elenco: non è vero che il sistema pensionistico, la tredicesima e la cassa integrazione siano frutto del fascismo; la storia del "Duce bonificatore" delle zone paludose non è da prendere sul serio per i risultati raggiunti ma è frutto della propaganda, accompagnata dalla nascita di città del regime come Latina; neppure va ascritta a Mussolini la nascita e lo sviluppo del sistema delle case popolari, trattasi di tam taminfondato; altra storia da smentire è che il fascismo seppe ricostruire in fretta le zone colpite da terribili terremoti o che si debbano al regime fantomatiche reti autostradali o stradali, semmai arrivate nel dopoguerra. Ancora più facile da smontare il Mussolini "difensore della giustizia" in un regime liberticida, così come il mito della sua onestà personale facilmente smontabile per una vita ambigua e con sospetti cambi di schieramento che denunciò non a caso quel Giacomo Matteotti ucciso con sua piena assunzione di responsabilità da parte del Duce. Non è vero poi che il fascismo sconfisse la mafia, che l'economia italiana fosse brillantissima in epoca fascista, che l'autarchia sia stata in fondo un successo e che gli italiani allora fossero più ricchi di oggi. Tutte balle! Caliamo un velo pietoso sull'immagine di un Mussolini che avrebbe valorizzato la donna, che semmai era considerata solo buona per fare figli, idem la tragica vulgata di chi dipinge Mussolini come grande condottiero ed eminente statista, oscurando la realtà con esaltazioni che paiono ridicole. Filippi smonta in più altre storielle, come quel del "dittatore buono", ricordando quanto fosse razzista ben prima delle leggi contro gli ebrei nel corso della violenta campagna coloniale, citando anche i misfatti contro i sudtirolesi nella esaltazione grave e xenofoba della ”razza italica”, di cui si avvertiva l’aria anche contro la Valle d’Aosta con il cambio dei nomi dei Comuni e la politica avversa nei confronti della nostra cultura. Mussolini - lo dimostra un ampio capitolo - disprezzava gli italiani e certe frasi fatte (treni in orario, classe politica onesta, crescita demografica, grandi scoperte scientifiche) sono semplici e pure tristi menzogne.

Se già tutto questo era ridicolo, ora spunta una banda italica di neonazisti, che volevano persino – e per lei suona come una medaglia al merito – uccidere Giorgia Meloni perché “traditrice”.

Come diavolo si fa ad essere neonazisti? Se già essere neofascista è una roba folle (e in Fratelli d’Italia ce ne sono, legati a Casa Pound), figurarsi inneggiare a Hitler e camerati. Vale, come una fotografia, la riflessione di Ferdinando Pessoa: “Nella vita attuale il mondo appartiene solo agli stupidi, agli insensibili e agli agitati. Il diritto a vivere e trionfare oggi si conquista quasi con gli stessi requisiti con cui si ottiene il ricovero in manicomio: l'incapacità di pensare, l'amoralità e l'ipereccitazione”.

Non si può che concordare sul degrado in atto. Quella regressione culturale che consente aberrazione come quelle segnalate.