Come si fa a non pensare - nel riferirsi all’agonia della FIAT - a tre elementi.
Il primo, del tutto personale, è un’esame ai tempi dell’Università in cui ne avevo dovuto studiare la storia dell’impresa dagli albori agli anni Ottanta. Per cui su quel periodo risulto davvero acculturato.
Il secondo è un fatto aostano e una persona. La persona è Efisio Noussan, che fu uomo Fiat per eccellenza e il fatto, anzi la costruzione, il Palazzo Fiat ad Aosta, situato fra via Chambéry e Corso Battaglione, sede storica della sua concessionaria fin dagli anni in cui nel dopoguerra iniziò da precursore la motorizzazione in Valle d’Aosta.
La terza annotazione riguarda l’unico vero rapporto, oltre a un proprio stabilimento automotive a Verrès per alcuni periodi, che la Valle ebbe con gli Agnelli e riguarda grandi porzioni di terreno che vennero acquistati nel 2010 dalla nostra Regione nel Parco del Mont Avic e che si trovano nel vallone di Chalamy nel comune di Champdepraz. Appartenevano alla società automobilistica torinese per via di uno sfruttamento minerario di proprietà e già nel 1978 erano stati affittati alla Regione con un contratto di 99 anni.
Torno al personale: la prima macchina di mio papà veterinario fu una Topolino, cui seguirono - come auto di lavoro - 500 Abarth, 126 Giannini e infine Panda 4 ruote motrici.
Se dovessi pensare alle memorie universitarie, per aggiungere gli ultimi 40 anni, dovrei dire semplicemente che la FIAT ha inanellato quella lenta e inesorabile decadenza che oggi è ben visibile nell’abbandono dell’Italia, cominciando dalla fiscalità malgrado gli aiuti statali, nel dilatarsi in grandi gruppi senza averne gli eredi Agnelli una qualche reale leadership, nella scarsità di modelli in vendita, nelle coltellata nel costato a Torino e agli stabilimenti storici.
Tutto questo con una metodica precisa e cinica, cui è sempre stata data con abile storytelling una rappresentazione ben diversa, specie da John Elkann, figlio di Alain Elkann e Margherita Agnelli, a sua volta figlia del famoso Gianni, che è in lite furibonda con i propri figli per questioni di eredità.
Leggevo un articolo illuminante di Le Monde a firma Allan Kavall: ”Il gruppo Stellantis è il depositario dell’eredità della Fiat, ma il nome glorioso del vecchio fiore all’occhiello dell’industria italiana è solo uno dei quattordici marchi controllati dalla società, insieme a Maserati, Peugeot, Chrysler e Opel. Il 1 dicembre l’amministatore delegato del gruppo Carlos Tavares, l’uomo che ha accelerato la globalizzazione della Fiat e che ormai era in conflitto perenne con il governo italiano, è stato spinto alle dimissioni. L’unica azienda automobilistica attiva in Italia ha ridotto progressivamente la produzione nel paese, suscitando la collera di un governo che non ha più alcuna presa sui vertici societari, anche se il presidente del gruppo, John Elkann, è l’erede diretto degli Agnelli, la dinastia dei fondatori della Fiat. Elkann non si è nemmeno “degnato” di andare a Roma, di fronte ai componenti di una commissione parlamentare che lo avevano convocato per chiarire il futuro della Stellantis in Italia. Dopo la partenza di Tavares toccherà a lui gestire la transizione”.
Ora, infatti, sta battendo cassa, appoggiandosi soprattutto sulla necessità di fondi pubblici per andare verso l’elettrico su cui Tavares si era sbilanciato nel solco di certe decisioni dell’Unione europea. Ci troveremo - immagino - di fronte ad un prendere (soldi) o lasciare (chiudere per sempre gli stabilimenti).
Ancora dallo stesso articolo: ”La nuova generazione degli Agnelli ha preso in mano il gruppo nel 2010 e John Elkann, nipote di Gianni, è stato nominato presidente dell’azienda, che si è internazionalizzata. La fusione con la Chrysler nel 2014, seguita da un avvicinamento alla francese Psa, ex holding della Peugeot che aveva acquisito la Citroën e la Opel. Nel 2021 dalla fusione delle due aziende è nata Stellantis, che era il quarto gruppo automobilistico mondiale.A quel punto il centro di gravità della nuova entità si è spostato nettamente verso Parigi, anche considerando che lo stato francese detiene il 6 per cento del capitale, mentre il governo italiano non ha nessuna quota. Alla fine del 2023 il gruppo aveva 258mila dipendenti in cinquanta stabilimenti, ma solo il 17 per cento della forza lavoro di Stellantis era impiegata nelle fabbriche italiane. Oggi l’Italia non è più il mercato di riferimento del gruppo. Dal 2021 Stellantis ha tagliato più di diecimila posti di lavoro.La Fiat si è dunque dissolta in un impero multinazionale. Anche se John Elkann è il presidente della Stellantis, il suo ruolo non è operativo. La Exor, la holding di famiglia guidata da Elkann con sede ad Amsterdam, controlla appena il 14,2 per cento del gruppo. Gli Agnelli non sono più i signori di Torino né tanto meno i re d’Italia, ma si evolvono su un piano diverso da quello degli stati-nazione. Eppure il paese a cui devono la loro fortuna non li ha dimenticati, anche perché resta legato al destino della Stellantis e rischia di pagare le conseguenze delle sue difficoltà”.
Evito di dare i numeri degli utili e delle vendite, che parlano più di tanti discorsi.
Si conclude così mestamente l’articolo: ”In realtà quella che un tempo veniva chiamata “mamma Fiat” è morta da tempo. Con o senza Tavares, il gruppo non mostra alcun legame con la memoria e l’orgoglio ferito di una vecchia nazione industriale”.