Normalmente in questo periodo sento avvicinarsi una certa euforia natalizia. Quest’anno – e non solo per un imminente compleanno con molte primavere sul gobbone – ho una viva preoccupazione, che renderà ancora più insopportabile certa retorica buonista che avvolge il Natale con carta dorata.
Ho visto in televisione la straordinaria dignità di Michel Barnier, cui mi lega un sincero affetto, nel capitolare davanti all’Assemblée Nationale grazie alla coppia vergognosa Mélenchon-Le Pen, destra e sinistra abbracciati nel segno del populismo più becero, legati dall’odio per la democrazia. Lo si vedeva anche da urla e strepiti indegni.
Pensavo ieri, avendo avuto come moderatore ad un convegno sul digitale di Grand Continent Alexandre Mirlesse, brillante collaboratore di Macron, alla profezia di suo zio, Alexandre Marc, uno dei padri del federalismo personalista e conoscitore della Valle d’Aosta. Era lui a dire con saggezza che purtroppo comunismo e fascismo sono da sempre simili, perché esprimono e hanno espresso null’altro che dittature. E ciò rende risibile la vecchia querelle su quale sia peggio.
Ora la Francia piomba in una crisi istituzionale e si scherza a Parigi sulla “italianizzazione” di una V Repubblica che pareva solida grazie al presidenzialismo e al sistema elettorale a doppio turno che obbliga ad alleanze. Invece, la frittata è stata fatta e non sarà facile risalire la china.
Emmanuel Macron resterà all’Eliseo sino alla primavera del 2027, anche se dovrà essere come un giocoliere con le ali estreme che lo vorrebbero dimissionario e non penso proprio che ciò avverrà. Questo, tuttavia, non significa affatto la necessità in Francia di riflettere in profondità sui meccanismi costituzionali che si sono di fatto inceppati.
Spiace sinceramente che uno statista come Barnier finisca la sua brillante carriera politica nel tritacarne del peggio della politica con russofili, antioccidentali, demagoghi uniti in una logica di cupio dissolvi che preoccupa.
E preoccupa a maggior ragione dopo la vittoria di Donald Trump, che sporca un’altra antica culla della democrazia, gli Stati Uniti, da sempre interessante per l’equilibrio di poteri di un sistema federalista, certo diverso dall’ordinamento centralista francese. Ma il solco era quello medesimo dello Stato di diritto e ci si domanda che cosa non stia funzionando e non è questione di essere di Destra, di Sinistra o di Centro, ma di essere legati a valori fondanti della democrazia e contro derive autocratiche o di destabilizzazione senza progettualità.
In Europa l’instabilità dilaga: lo si vede in Germania e in Spagna con instabilità delle maggioranze di governo o in Paesi come l’Ungheria da tempo e la Romania da poco che guardano più a Mosca che a Bruxelles. Persino in Corea del Sud spunta un Presidente rimbecillito che proclama la legge marziale e tocca al Parlamento bloccarlo.
Fuori dall’ambito delle democrazie è ancora peggio. Se si guardano classifiche sul tasso di libertà (come Freedom House) o di democrazia (come Democracy Index) viene la pelle d’oca per vedere quanti sono nel mondo i regimi autoritari. Chi pensava, ad esempio, in una naturale espansione della democrazia nell’epoca postcoloniale oggi guarda con orrore a certi Paesi africani e all’influenza russa e cinese che sposta lo scacchiere internazionale, comprandosi le élites locali. Per non dire dell’estremismo islamico che sale e scende in numerosi Paesi, brandendo l’orrore della loro teocrazia.
Ha scritto con grande semplicità Karl Popper e per questo la democrazia va difesa: “Io affermo che il nostro mondo, il mondo delle democrazie occidentali, non è certamente il migliore di tutti i mondi pensabili o logicamente possibili, ma è tuttavia il migliore di tutti i mondi politici della cui esistenza storica siamo a conoscenza”.