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03 dic 2024

Avrei parlato di Cavour…

di Luciano Caveri

Che peccato! In queste ore avrei dovuto dialogare al Forte di Bard sulla figura di Camillo Benso, conte di Cavour con Gilles Pécout, che oltre a essere Président de la Bibliothèque de France, è uno degli storici che conosce più a fondo il Risorgimento italiano. Purtroppo un suo impegno improvviso ha rinviato l’appuntamento – nel quadro più vasto delle manifestazioni del Grand Continent – ad altra occasione. Bard aveva un suo perché, rappresentando una sorta di punto a capo nella vita di Cavour.

In sostanza, da ufficiale del Genio venne spedito nel nostro Forte, che era in ricostruzione nuovo di trinca, dopo che Napoleone lo aveva fatto radere al suolo successivamente al suo passaggio nel 1800. Come noto, scendeva in direzione verso campo di battaglia di Marengo attraverso il Gran San Bernardo. Era arrabbiato per aver perso tempo, perché il suo esercito venne in parte trattenuto dai militari che presidiavano il Forte: 400 austroungarici da una parte, 40mila francesi dall’altra. Sentenza napoleonica fu in modo rude: che scompaia il ”vilain castel”!

Quella presenza di Cavour da noi era per lui una punizione. Lo spiega bene in un’informativa, quasi spionistica, il conte Enrico de Bombelles, ministro austriaco a Torino, il quale scriveva al governo di Milano: “Questo giovane Cavour appartiene a una delle famiglie più raccomandabili del Piemonte, e suo padre, il marchese di Cavour, è generalmente stimato, ed il primo a gemere sulla condotta e i principî del figlio cadetto. Il giovane, dotato di molta facilità e di talento, era entrato nel genio militare. I suoi propositi e il legame intimo con altri malpensanti e particolarmente con un signore addetto all’ambasciata di Francia, ha spinto il re, poco dopo che Sua Maestà fu asceso al trono, ad inviarlo al forte di Bard, non come prigioniero, ma in qualità di ufficiale del genio”.

Scriveva lo stesso Cavour in una lettera da Donas (manca una n!): “Qui si è nel più perfetto quietismo. Così, se vedete qualche persona troppo agitata per il movimento della capitale, consigliategli di venire ad abitare a Donas, e rispondo verso di voi che si tranquillizzerà”. Tuttavia neppure quell’esilio forzato riusciva ad abbatterlo: ”Appena è rischiarato, ho percorso un poco i dintorni, vi sono delle passeggiate belle, sia nella valle sia sulle montagne. È una risorsa immensa per me che amo sognare; sono sicuro di poter correre tutto il giorno, senza incontrare noiosi perditempo...”. Questa era un’altra delle sue doti: di bastare a a sé stesso: ”Sono contento della mia solitudine, vorrei che durasse tutto l’estate, e vi assicuro che non senza rincrescimento penso che tra qualche giorno non sarò più solo; che non potrò più tranquillamente abbandonarmi alle mie idee...”. Quel proseguimento di vita militare durò solo pochi mesi. Offrire le dimissioni nel momento stesso in cui Carlo Alberto saliva al trono poteva essere male interpretato dati i precedenti, e il marchese Michele, suo papà, non avrebbe voluto irritare il sovrano, che d’altronde gli era amico. Non era però più il caso di restare in servizio dopo un certo tempo, quando nessuno avrebbe potuto dire che il giovane Cavour se n’era andato per sottrarsi ad una punizione, quasi per dispetto. E perciò alla fine dell’anno 1831 chiese di abbandonare il servizio militare: gli fu concesso.

Di lui, a Chignas di Donnas, resta una stele in pietra che lo ricorda con tanto di disegno che lo rappresenta e questa dedica “Qui sognando patria una e libera trascorse ore calme e soavi”. Forse in quel soave esiste anche la malizia di una sua avventura amorosa valdostana e nella sua vita certe liaisons amoureuses saranno una costante a dispetto di un aspetto non certo da tombeur de femmes.

Non era l’abbandono dell’Esercito la prima discontinuità: già da paggio del Re aveva lasciato il posto per incompatibilità. In 51 anni di vita, stroncata probabilmente dalla malaria, fece di tutto: politico certamente, ma fu agricoltore, banchiere, giornalista e con qualche gusto per i giochi di carte e poi in Borsa, viaggiando in Europa con predilezione per la Svizzera, la Francia e l’Inghilterra, occupandosi di filosofia e sistemi politici. Cattolico con un tocco di calvinismo materno, era liberale da “juste milieu” e, in barba al piemontesissimo essere bogianen era un uomo curioso e grande lavoratore.

Non so se il motto dei Benso fosse rispettato “Plus être que paraître”, ma fattivo lo è stato di certo nel cammino, assai bizzarro, che lo portò ad essere un grande protagonista dell’Unità d’Italia.

A lui si deve la scelta sabauda del centralismo contro il federalismo, con un certo rivolgimento di idee. Il suo ingresso in politica ufficiale avvenne, dopo l’emanazione dello Statuto albertino, nel 1848 e in quel Parlamento Subalpino il suo cognome seguiva in ordine alfabetico quella grande personalità che fu il fratello del mio bisnonno, dunque mio trisavolo, Antonio Caveri, Rettore dell’Università di Genova, Sindaco della città e Presidente della Provincia e pure Senatore del Regno.

Nella carica di Presidente del Consiglio fra il 1852 e il 1860 Cavour incrociò – e si trovano tracce nel suo enorme epistolario – problemi valdostani come la Terza révolution des socque che infiammò la Valle d’Aosta in senso retrivo, la soppressione che addolorò la Valle della Provincia di Aosta nel 1859, così come in quegli stessi anni la Valle perse la possibilità di avere un traforo ferroviario sotto il Monte Bianco in favore del Fréjus ed ebbe gravi rallentamenti per le tante desiderate strade, oltre ad una grave crisi economica e demografica. Si aggiungono naturalmente le ripercussioni nel 1860 per la perdita di Savoia e Nizza, cedute alla Francia, con ecidente sconcerto e da lì nacque il problema linguistico e la lotta dell’Italia unitaria contro il francese.

A reagire fra i pochi, chiedendo che si evitasse di avere leggi scritte solo in italiano, fu il mio bisnonno, Paolo Caveri, fratello di Antonio, che combattè – negli anni post unitari - come Sottoprefetto di Aosta in favore del francese. E a casa ho due manifesti da lui firmati per la leva militare scritti non a caso in francese.

Molte altre cose avrei detto su Cavour - e non solo nel suo legame con la Valle - sotto il controllo di un esperto come Pécout. Sarà per un’altra volta.