Non ci sono solo i necrologi per le persone, ci sono anche per le cose.
Così incappo in un articolo di Repubblica di Francesco Manacorda, che suona come un addio a qualcosa di caro. Ecco: “L’Ape non vola più, e via di questo passo. Insomma, la notizia è che l’Ape, inteso come motoveicolo a tre ruote che ha segnato– e non è un modo di dire – un’epoca, non verrà più prodotto nell’originario stabilimento di Pontedera perché le nuove regole europee su ambiente e sicurezza lo rendono impossibile, ma uscirà solo dalla fabbrica indiana che Piaggio ha da 25 anni”.
E aggiunge: “Dici Ape ed è subito dopoguerra, ricostruzione, neorealismo, ma anche boom economico, sorpassi stradali e financo sociali. Nel 1946 quel genio dell’Ingegnere Corradino D’Ascanio ed Enrico Piaggio hanno appena dato agli italiani la Vespa, ma già stanno pensando a qualcosa di più e di diverso: sarà appunto una mezza Vespa unita a un pianale di carico con due ruote posteriori”.
L'Ape in Valle d'Aosta è stato una oggetto cult, parte del folklore locale come mezzo di trasporto multiuso e tout-terrain. Il mondo contadino e artigianale lo trasformò in un simbolo della valdostanità. Ricordo come figurasse simpaticamente ma con evidente realismo in alcune rappresentazioni grafiche come uno degli elementi identitari. Ci furono da noi competizioni di abilità di guida, perché certo per guidare l’Ape con destrezza ci voleva qualche dote, visto il rischio evidente di ribaltamento. L’arrivo del Porter, che di ruote ne ha quattro, è grigiore e conformismo.
Io avevo un vicino di casa, Diego, che ne possedeva uno di Ape, che era di suo papà fabbro. Ci scorrazzavamo in strade di campagna vicine a casa, quando non avevamo l'età per farlo. Ricordo anche - lo dico incidentalmente - un Galletto della Moto Guzzi con cui giravamo. Reati ormai in prescrizione...
La storia dell'Ape è davvero unica e noi valdostani siamo stati dei veri precursori in area alpina e ne ho una memoria antica anche perché, quando ero piccolo, era il mezzo di locomozione di tantissimi contadini che arrivavano a casa mia per parlare con mio papà, veterinario di montagna, che girava - all'inizio del suo lavoro in condotta - con una Lambretta “Da settanta anni - scrivevano in una pubblicità i tecnici Piaggio - Ape è un mito, un veicolo senza eguali al mondo, sempre capace di stupire. E' un mezzo originalissimo e in grado di distinguersi grazie alla sua personalità unica. Oltre due milioni e mezzo di esemplari diffusi nei cinque continenti testimoniano del successo del tre ruote che ha fatto della versatilità la sua dote migliore”. Cifra probabilmente da aggiornare.
Raccontava D'Ascanio, il geniale progettista aeronautico inventore sia della Vespa che dell'Ape: “Si trattava di colmare una lacuna nei mezzi di locomozione utilitaria del dopoguerra, portando sul mercato un motofurgone di piccola cilindrata, di limitato consumo e di modesto prezzo di acquisto e di manutenzione, facile alla guida, manovrabile nel più intenso traffico cittadino, e soprattutto adatto e sollecito e pronto al trasporto a domicilio della merce acquistata nei negozi”. Storia che da noi è agricola e non urbana, intrecciandosi con una Valle ancora molto rurale in anni pieni di entusiasmo, che noi - figli di quel dopoguerra difficile ma speranzoso, così diverso dall'aria greve di oggi - abbiamo respirato a pieni polmoni con la freschezza della voglia di fare, dopo gli orrori delle guerre dei nostri nonni e padri.
I ragazzini anche da noi e da qualche tempo si erano impossessati dell’Ape, scegliendolo al posto del motorino e creando fantasiose versioni taroccate in un inconsapevole e brioso passaggio di testimone fra generazioni.