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01 dic 2024

No alla disaffezione per la Politica

di Luciano Caveri

L’altra sera ad Arvier, con una sala colma di persone, si è di fatto chiuso un giro delle sezioni dell’Union Valdôtaine - dove sono tornato a casa dopo la réunification - attraverso i diversi Comuni della Valle d’Aosta.

Queste piccole cellule di organizzazione, eredi delle formule tradizionali di presenza dei partiti sul territorio, hanno ospitato discussioni sulle diverse questioni in ballo. So bene che fa sorridere questa forma di contatto in un mondo digitale, in cui l’impegno politico di persona sembra antico.

Eppure per chi fa politica da tanti anni questi faccia a faccia scaldano il cuore, quando non si sa più tanto bene come fare per parlare di politica anche per movimenti radicati come l’Union Valdôtaine, che però sono esclusi dal circo mediatico nazionale.

In più la par condicio limita la libertà nelle campagne elettorali e i Social non sono certo la soluzione per la prevalenza di logiche di polemiche, che sporcano qualunque messaggio. La crisi di partecipazione alla vita dei partiti trova conferma purtroppo nelle urne vuote.

E così riappare la necessità di tornare a metodi apparentemente obsoleti del rapporto personale e porta a porta per capire e spiegare, sapendo - lo dico a me stesso che ho vissuto entusiasmi popolari e grandi comizi partecipati - che ci vuole pazienza e portare fuori di casa le persone in riunioni risulta un esercizio sempre più difficile.

L’incognita dell’astensionismo è una realtà che pesa come un macigno.

Torno a parlarne per una descrizione esatta del fenomeno in un articolo apparso su Sette e scritto dalla Direttrice, Barbara Stefanelli.

Che si chiede: “Perché andiamo sempre meno a votare? Chi sono i milioni di “aventi diritto” che rinunciano ad esercitarlo? Ne parliamo dopo ogni consultazione. Giustamente. La tendenza appare inesorabile, con l’effetto di depotenziare le democrazie rappresentative così come le abbiamo concepite e vissute finora. All’indomani della Seconda guerra mondiale, alle prime politiche con il suffragio allargato alle donne, la partecipazione superò il 90 per cento; alle ultime, nel 2022, si è fermata al 63,9. Alle prime Europee, nel 1979, andò a votare l’88,65%; alle ultime il 48,31. Nel ciclo 2020-2024 del voto regionale, quello che dovrebbe garantire di poter incidere sul proprio territorio, la diserzione alle urne ha sempre oscillato un po’ sopra o un po’ sotto il 50%, come è successo in Umbria e in Emilia-Romagna”.

La Valle d’Aosta, terra di passioni politiche e di partecipazione al voto elevata in passato, segue il trend e ciò spaventa in vista delle prossime Regionali.

L’articolo spiega lo scenario nazionale nella visione di un esperto, Nando Pagnoncelli, Presidente di IPSOS: ”Una prima osservazione è che esiste un astensionismo “involontario”, rappresentato dalle persone che hanno difficoltà a raggiungere il seggio (sempre di più in una popolazione che invecchia) e da quanti sono lontani per ragioni di lavoro/studio dal comune di residenza (a loro volta in aumento per le nuove forme di mobilità sociale). Sommando i due gruppi, arriviamo a oltre 9 milioni. Non pochi. Ma ogni ragionamento sul voto digitale o per corrispondenza viene archiviato con un’alzata di spalle: c’è ben altro di cui dovremmo (pre)occuparci… È vero che c’è ben altro, potremmo però scegliere di muoverci in due direzioni. Da una parte mandare un segnale a chi vorrebbe votare, ma si sente “dimenticato”, anziani e ragazzi, considerati portatori deboli di consenso e quindi sacrificabili. Dall’altra provare a scuotere i cespugli dell’astensionismo “volontario”, dove si nasconde l’elettorato che non ci crede più e che – dopo una stagione da separati in casa, magari con qualche riavvicinamento – medita ora di divorziare dalla rappresentanza politica”.

Un esercito diventato primo partito che inquieta per il futuro della democrazia.

Prosegue l’articolo: “Anche qui Pagnoncelli tiene a distinguere tre fattori. Il primo è legato alle condizioni economiche precarie e alla marginalità sociale che induce strati significativi della popolazione ad autoescludersi. Il secondo è la “sfiducia controllata” che ferma sulla soglia di casa quanti prevedono di perdere e ne deducono che non valga la pena: tanto – in una democrazia matura – non ci saranno dissesti per la mia vita privata... Attitudine pericolosa perché esaspera le asimmetrie e svuota le opposizioni.

Il terzo gruppo degli “astenuti per scelta” è trasversale a generazioni e professioni, indifferente all’articolo 48 della Costituzione secondo cui il voto resta, anche, «un dovere civico». È giusto riconoscere lo scoramento che ci assale davanti alle zuffe tra politici, agli show televisivi della sera o a quelli spinti dagli algoritmi sui social. È giustissimo sentirsi assordati dalla vacuità di un linguaggio estremista fino a diventare fracasso fine a sé stesso. La tentazione di un esilio interno, nel proprio Paese o nella propria città, è probabilmente presente in tutte le nostre riflessioni sul bene comune, sulla necessità di individuarlo e di affidarlo alle mani migliori. Alla radice c’è una disaffezione per la politica che colpisce molti sistemi occidentali”.

Concordo e dovessi dire non ho soluzioni vere per evitare rischi di degrado che fomentino scelte autocratiche, se non sperare che piccole democrazie come quella valdostana riescano ancora ad avvicinare le persone, anche se questo sembra anacronistico.

Dietro l’angolo ci sono le conseguenze del disimpegno anche in favore di un’Autonomia valdostana che senza un popolo che ci crede, anche attraverso i meccanismi elettivi,

trasformerebbe i politici in eletti minoritari senza il sostegno che dovrebbero avere per il loro lavoro.