Vacanza è una parola ambigua e parlarne d’estate è la giusta collocazione temporale, essendo da sempre la stagione in cui si concentra la maggior parte delle possibili vacanze (il plurale è ancora più espressivo).
Vacanza - lo ricorda il prezioso Etimologico - viene da ”vacare”, esser vuoto; esser libero; avere tempo', della stessa famiglia di vanus 'vuoto; inutile; frivolo'.
Insomma: dovrebbe essere in assoluto un momento in cui si lascia la routine quotidiana per staccare e dimenticare per un momento le occupazioni ordinarie.
In una storia del Novecento curata da Umberto Eco, anni fa, si legge questa sintesi efficace: ”Il turismo rappresenta oggi un’attività centrale nella vita moderna e un’industria di primaria importanza per molti Paesi. Prima del XX secolo, sono poche le persone che possono viaggiare per diporto. La grande trasformazione nel mondo del turismo è degli anni Trenta, quando la maggior parte degli stipendiati dei Paesi europei comincia a godere del diritto alle ferie retribuite. Negli anni Sessanta il settore del turismo si espande e si caratterizza per un’elevata standardizzazione. Il successo del turismo balneare modifica le coste facendo sorgere ovunque villaggi-vacanza. Negli ultimi decenni si diffondono nuovi tipi di turismo, da quello nei parchi naturali a quello nei parchi di divertimento, dal turismo culturale a quello orientato al recupero del benessere, fino a un turismo più individuale ed esigente che cerca nuove forme di distinzione dalla massa”.
Dentro il fenomeno ci sta l’esperienza personale di ciascuno di noi: per me da bambino e ragazzo era seguire la famiglia al mare (la montagna era l’ambiente domestico) con lunghi soggiorni, poi con l’adolescenza ha significato fare le proprie esperienze e poi con i soldi guadagnati scoprire pian piano il mondo, mentre quando si mette su famiglia si seguono ritmi ancora diversi.
Oggi cerco di fare vacanze per scoprire posti nuovi e anche per piccole fughe dal solito tran tran e credo che ci siano ormai possibilità interessanti e per tutte le tasche. Mi scontro ogni tanto con chi stenta a capire il perché delle vacanze e preferisce non farle o limitarsi ad una logica stanziale. Trovo, invece, che - potendolo fare - staccare la spina o con logiche di ozio o con la ricerca di nuove avventure sia un toccasana.
Bertrand Russel ci scherzava sopra: ”Se fossi un medico, prescriverei una vacanza a tutti i pazienti che considerano importante il loro lavoro”.
Quel che personalmente mi appassiona, nella varietà di scelte possibili (dallo stare spiaggiato come un leone marino a consumarmi le scarpe in una città d’arte), è quel che porti dietro delle esperienze acquisite. È questa del muoversi e conoscere una attività istruttiva e arricchente.
Si torna a casa, spesso con una certa mestizia, avendo avuto un metro di confronto con la propria quotidianità e avendo avuto, nella scoperta dei luoghi e delle culture, una possibilità di mettere da parte conoscenze che torneranno sempre utili. Esiste poi un trucco che consente di affrontare meglio certi giorni grigi della vita quotidiana. Fissare un viaggio anche se a lunga gittata, perché diventa come un orizzonte da raggiungere, che evita che su di noi si depositi la polvere nella noia e della ripetitività.
Lo ricorda bene Milan Kundera: ““E non c’è niente di più bello dell’istante che precede il viaggio, l’istante in cui l’orizzonte del domani viene a renderci visita e a raccontarci le sue promesse”.