Per qualunque politico, nelle sue vesti di eletto e di amministratore, così come per ogni dirigente pubblico, esiste sempre - per quanto svolga il suo lavoro con scrupolo e attenzione - lo spettro delle sezioni regionali della Corte dei Conti (sezioni di controllo e giurisdizionale). Si vive in questo periodo e fino alla fine dell’anno una situazione meno rigida nell’attività a causa prima della pandemia e poi del necessario rilancio dell’economia anche con il PNRR.
Ora della questione del futuro del ruolo della Giustizia contabile se n’è occupata la Consulta e su Il Foglio è uscito un articolo interessante per chi segua la materia che capisco essere specialistica e come tale poco allettante: ”La Corte costituzionale contro la Corte dei conti? Piano, maneggiare con cura. Tuttavia la sentenza della Consulta presieduta da Augusto Barbera, relatore Giovanni Pitruzzella, apre una questione più ampia del caso specifico e introduce un approccio più liberale, inserendosi nell’onda di revisionismo giuridico che ha portato all’abolizione dell’abuso d’ufficio. Ma vediamo di cosa si tratta. La Corte dei conti, affrontando una vicenda di danno all’erario che coinvolge alcuni carabinieri, ha sollevato una questione di legittimità costituzionale rispetto alla norma introdotta durante la pandemia che limita fino al 31 dicembre prossimo la responsabilità alle sole azioni dolose. La Corte costituzionale ritiene legittima la norma: “La disciplina della responsabilità amministrativa va inquadrata nella logica della ripartizione del rischio tra l’apparato e l’agente pubblico, al fine di trovare un giusto punto di equilibrio”. In sostanza, viene riconosciuto che occorre lasciare autonomia di scelta alla burocrazia il cui scopo è raggiungere risultati, non solo attuare la legge. L’alta corte riconosce che da un lato è necessario “tenere ferma la funzione deterrente della responsabilità” per scoraggiare comportamenti scorretti dei funzionari, dall’altro “evitare che il rischio dell’attività amministrativa sia percepito come talmente elevato da fungere da disincentivo” “.
L’argomento è interessante per chi viva dentro certi meccanismi e capisce quanto ci sia un’alea di incertezze che crea quanto ben spiegato nel proseguo dell’articolo: “E’ un atteggiamento sempre più diffuso, per il quale è stata escogitata la definizione di “burocrazia difensiva” o anche “paura della firma”. La sentenza Pitruzzella mette in guardia dall’effetto paralisi: bloccando l’amministrazione si finisce per ostacolare la crescita economica e la tutela dei diritti. Tuttavia la Consulta sollecita una riforma più ampia. La disciplina a regime non potrà limitare la responsabilità solo al dolo, è necessario andare più a fondo e adeguarla. Ma in questo senso la sentenza offre al legislatore anche delle linee guida: bisogna specificare cos’è la colpa grave, porre un tetto all’entità del risarcimento, differenziare la responsabilità a seconda della complessità dell’attività. Adesso la parola passa governo e Parlamento. Di qui al 31 dicembre c’è solo una manciata di mesi”.
Riporto, a completamento, l’ultimo pezzo della decisione della Corte, che trovo chiaro, pur nel lessico giuridico: “Il consolidamento dell’amministrazione di risultato e i mutamenti strutturali del contesto istituzionale, giuridico e sociale in cui essa opera, come si è già messo in evidenza, giustificano la ricerca, a regime, di nuovi punti di equilibrio nella ripartizione del rischio dell’attività tra l’amministrazione e l’agente pubblico, con l’obiettivo di rendere la responsabilità ragione di stimolo e non disincentivo all’azione. In assenza di simili interventi, il fenomeno della “burocrazia difensiva”, dopo la scadenza del regime provvisorio oggetto della disposizione censurata, sarebbe destinato a rispandersi e la percezione da parte dell’agente pubblico di un eccesso di deterrenza tornerebbe a rallentare l’azione amministrativa. Ne sarebbero pregiudicati, oltre al principio costituzionale del buon andamento della pubblica amministrazione, anche altri rilevanti interessi costituzionali.
Pertanto, una complessiva riforma della responsabilità amministrativa è richiesta per ristabilire una coerenza tra la sua disciplina e le più volte richiamate trasformazioni dell’amministrazione e del contesto in cui essa deve operare. Il legislatore non potrà limitare, come si è avuto cura di puntualizzare, l’elemento soggettivo al dolo – limitazione che ha trovato giustificazione esclusivamente in una disciplina provvisoria radicata nelle caratteristiche peculiari del contesto ricordato – ma potrà, nell’esercizio della discrezionalità che ad esso compete, attingere al complesso di proposte illustrate nelle numerose analisi scientifiche della materia, anche modulandole congiuntamente e considerando profili diversi da quello dell’elemento psicologico, in modo da rendere più equa la ripartizione del rischio di danno, così alleviando la fatica dell’amministrare senza sminuire la
funzione deterrente della responsabilità amministrativa. Si allude, in primo luogo, alla ipotesi di un’adeguata tipizzazione della colpa grave già conosciuta in specifici settori dell’ordinamento, posto che, come ricordato, l’incertezza della sua effettiva declinazione affidata all’opera postuma del giudice costituisce uno degli aspetti più temuti dagli amministratori.
Altra ipotesi da vagliare con attenzione è la generalizzazione di una misura già prevista per alcune specifiche categorie, ossia l’introduzione di un limite massimo oltre il quale il danno, per ragioni di equità nella ripartizione del rischio, non viene addossato al dipendente pubblico, ma resta a carico dell’amministrazione nel cui interesse esso agisce, misura, questa, cui può accompagnarsi anche la previsione della rateizzazione del debito risarcitorio.
L’opportunità del cosiddetto “tetto” non può essere esclusa in ragione dell’esistenza del menzionato potere riduttivo, dal momento che il primo, fissato ex ante dal legislatore, varrebbe obbligatoriamente per tutti, mentre il secondo è fisiologicamente rimesso ad un apprezzamento discrezionale ex post del giudice contabile.
Piuttosto, sarebbe utile valutare una modifica anche della disciplina del potere riduttivo, prevedendo, oltre all’attuale ipotesi generale affidata alla discrezionalità del giudice, ulteriori fattispecie obbligatorie normativamente tipizzate nei presupposti.
Del pari, meritevole di considerazione potrebbe essere il rafforzamento delle funzioni di controllo della Corte dei conti, con il contestuale abbinamento di una esenzione da responsabilità colposa per coloro che si adeguino alle sue indicazioni.
Altro aspetto che potrebbe essere preso in considerazione, nell’interesse sia dell’agente pubblico che della stessa amministrazione danneggiata, è quello della incentivazione delle polizze assicurative (che, allo stato attuale, non sono obbligatorie), incentivazione, peraltro, cui ha già fatto ricorso, come rammentato, il nuovo codice dei contratti pubblici. Ancora, come già osservato, potrebbe essere vagliata una eccezionale esclusione della responsabilità colposa per specifiche categorie di pubblici dipendenti, anche solo in relazione a determinate tipologie di atti, in ragione della particolare complessità delle loro funzioni o mansioni e/o del connesso elevato rischio patrimoniale.
Da ultimo, il legislatore potrebbe intervenire per scongiurare l’eventuale moltiplicazione delle responsabilità degli amministratori per i medesimi fatti materiali e spesso non coordinate tra loro”.
Il Parlamento ha molte indicazioni di cui tenere conto e ha pochi mesi per adempiere ai propri doveri!