Chi vive in montagna non finisce mai di imparare e non si può permettere di avere la memoria corta, ma questo non significa affatto che amministratori e cittadini siano una massa di gonzi da istruire dall’esterno per la loro ignoranza o le loro mancanze.
Leggo in queste ore delle ennesime morti di alpinisti in montagna. Vecchia storia, purtroppo. Chi sale le cime lo fa avendo coscienza dei pericoli rispetto ai quali non esiste un rischio pienamente calcolato. Potrei ma non lo farò far corrispondere vicende luttuose non solo a persone improvvisate ma a professionisti di gran calibro e queste capacità e conoscenze non sono bastate ad evitare il peggio. Esistono più rischi che in passato? L’instabilità di una montagna che vive il cambiamento climatico fa rispondere di si. Questo significa più attenzione e rinunce quando le condizioni non consentono una ragionevole sicurezza, sapendo che l’imponderabile c’è sempre nel calcolo delle probabilità per chiunque salga in alto, accettando i pro e i contro.
Si aggiunge una riflessione anche sulla vita quotidiana di chi in montagna ci vive in una dimensione di assoluta normalità e su questo non si finisce mai di imparare. Ci pensavo, guardando la Valnontey in Val di Cogne che già dall’elicottero appariva come stravolta dal maltempo. Ma dal basso, anche risalendo a piedi piche centinaia di metri dopo aver risalito in auto la vallata, emergeva un drammatico raffronto fra zone viste in passato in belle giornate e l’esito di una natura colpita da una vera e propria sciagura.
Idem a Cervinia con la scoperta, che non sapevo e non ci avevo mai pensato, ad una cittadina sotterranea fatta di interrati di vario genere invasi dalle acque uscite dai torrenti e travolti da fango e rocce scese dalle montagne circostanti. Ovvio pensare a come sfide sportive e vita corrente delle comunità alpine debbano essere tarate dalle conseguenze del cambiamento climatico, sapendo che questo avviene nel solco di una storia millenaria di convivenza fra una Natura che si fa ostile in certe circostanze e le legittime attività umane in un teatro che mantiene aspetti di pericolosità.
Facile sul tema leggere baggianate di commentatori vari, che leggono con più o meno competenza la famosa e nodale questione della convivenza fra uomo e Ambiente. E tocca leggere sermoni di esperti che fanno la morale e i peggiori sono certi ambientalisti, magari sedicenti esperti di problemi della montagna, che sentenziano contro le attività umane che aggrediscono la Montagna che, povera creatura, si ribellerebbe nelle loro fantasie “punendo” l’uomo che la sfida con tracotanza. Roba da ridere per non piangere e tocca sopportare anche questi moralismi di “esperti” autodecoratisi sul campo nel nome di un fantasioso montanaro d’antan “buon selvaggio” alla Rousseau, cui si contrappone il montanaro “cattivo” e speculatore da educare per il suo bene da questi pedagoghi atti allo scopo. Per fortuna sono dei fenomeni destinati a sgonfiarsi e a cadere nell’oblio, cui alla fine non mi ribello neppure più per una forma di compatimento di fronte a bla bla marginali rispetto alle riflessioni serie che comunque vanno fatte.
Troneggiano, come sempre, due paroline chiave: ragione e scienza, che servono per costruire sistemi che incidano sui comportamenti delle persone in montagna, che siano alpinisti o no, per evitare incidenti e in caso di emergenza.
Si può già contare sulla pianificazione e il controllo del territorio, avviene con mappature parcella per parcella in zone come la Valle d’Aosta. Con le nuove tecnologie digitali - specie l’Intelligenza Artificiale - si faciliterà ancor di più il trattamento dei dati e soprattutto la capacità previsionale.