L’altro giorno in call ho partecipato ad un convegno sulle aree interne, che comprendono anche le aree di montagna, in collegamento con la Sicilia e esattamente con San Marco D’Alunzio sulle Nebrodi.
Si tratta di una catena montuosa della Sicilia settentrionale, nel territorio della città metropolitana di Messina, che, assieme alle Madonie a ovest e ai Peloritani a est, costituiscono parte dell'Appennino siculo, la cui come più alta è il Monte Soro (1.847 m).
Ho seguito questo incontro per una larga parte e quel che mi ha scioccato è un incredibile idem sentire nei rappresenti eletti e anche da parte di alcuni esperti intervenuti. Vale a dire il sistematico attacco all’Autonomia differenziata come una terribile iattura verso il Sud, anzi una specie di complotto per rendere il Mezzogiorno ancora più arretrato. Poco importa che questa Autonomia differenziata sia stata appoggiata da Regioni ordinarie di vario colore e ad averla chiesta siano state anche amministrazioni che poi hanno fatto retromarcia come se nulla fosse più per ragioni propagandistiche che di contenuto reale. Ricordando, com’è doveroso fare, che l’articolo 116 prevede la possibilità di attribuire forme e condizioni particolari di autonomia alle Regioni a statuto ordinario (”regionalismo differenziato" o "regionalismo asimmetrico", in quanto consente ad alcune Regioni di dotarsi di poteri diversi dalle altre), ferme restando le particolari forme di cui godono le Regioni a statuto speciale. Proposta accolta che venne dal centrosinistra, che ora si straccia le vesti, agitando paure sulla tenuta dell’unità nazionale. Il centrodestra, sempreché la Lega non abbia un crollo alle Europee, mantiene la linea di chiedere la autonomia differenziata che all’epoca della sua approvazione ebbe il no leghista e del centrodestra. Dimostrazione che esiste nel confronto politico una certa agevolezza nel mutare posizione a seconda del vento che tira.
Nel mio intervento, centrato su crisi demografica legata al tema di una immigrazione regolata e intelligente e anche sull’impatto sui territori del cambiamento climatico, ho evitato di accendere polemiche su questo “j’accuse” nei confronti dell’Autonomia differenziata. Per altro più di un eletto ai diversi livelli ha invocato o si è detto sicuro del flop della riforma costituzionale nel senso di una sua mancata approvazione per i buoni auspici di Fratelli d’Italia e, nel caso di approvazione, in tanti sbandieravano la certezza di un referendum confermativo che avrebbe fermato la barbarie nordista. Perché questo era il refrain: il Nord ci ha spogliato di risorse economiche e umane e ora vuole impoverirci ancora di più e spezzare l’Italia in due.
Confesso che certi ragionamenti fatti in una Regione autonoma come quella siciliana, che gode di un’autonomia molto elevata e di grandi risorse finanziarie, mi hanno lasciato stranito, anche se è evidente come giustamente e in modo coordinato le Speciali (con freddezza proprio della Sicilia sul tema) oggi domandino un passo in avanti per le loro autonomie per non arretrare con avanzamenti altrui. Ogni pretesto è buono per il centralismo romano per rosicchiare poteri e competenze b delle Speciali e questo semmai a noi deve preoccupare dell’Autonomia differenziata. Resta l’impressione di fondo che la polemica Nord-Sud sia in generale basata su di una logica talvolta vittimistica più che su fatti concreti.
D’altra parte, in una recente trasferta in Campania, avevo già sentito nei discorsi questa logica di un colonialismo nordico, che avrebbe spazzato via la casata dei Borboni, che avrebbero avviato prima dell’Unità d’Italia una lungimirante politica riformista. Dunque i Savoia conquistadores avrebbero interrotto questo sviluppo in una logica di occupazione e di sfruttamento.
Personalmente non credo affatto a questa ricostruzione fantasiosa se non favolistico, che racconta nei suoi afflati neoborbonici un Paese del Bengodi razziato e perseguitato dai settentrionali. Un revisionismo storico senza basi reali, ma la vulgata resta efficace e si diffonde ancora in chi ama costruire una visione giustificatoria e soprattutto da ascrivere ad altri per il mancato sviluppo del Sud. Alibi costruito con una pubblicistica esaltatoria persino sul brigantaggio dipinto di logiche resistenziali e sulle ribellioni popolari, dimenticando quanto vennero fomentate ad arte dai detentori del potere.
Per fortuna a questo meridionalismo da operetta si contrappone da sempre un meridionalismo serio, fatto di studi e di ragionamenti sulle ragioni reali di un gap di sviluppo e anche sulla triste ombra della criminalità organizzata, che risulta in certe zone ancora oggi come uno Stato nello Stato.