Una delle regole cardine in democrazia per chi fa politica dovrebbe essere parlar chiaro e dire con esattezza la propria posizione sui singoli argomenti in discussione e farlo in una logica di necessaria chiarezza verso i cittadini.
Sembra elementare, ma purtroppo non è così per una serie di ragioni. La peggiore è la pratica di una perenne campagna elettorale, che valorizza chi, nella logica spasmodica e avvilente della caccia al voto, tiene su singoli temi posizioni ambigue per non spiacere a nessun potenziale elettore. Così si tengono i piedi in ben più di due scarpe in perenni equilibrismi, contando sulla scarsa memoria di molti cittadini e sul disinteresse di chi, non volendo più compartecipare a certi spettacoli, si rifugia nel privato e l’astensionismo crescente ne è la cartina di tornasole.
Ci pensavo sull’Ucraina e sull’ipocrisia rispetto alle posizioni francesi e inglesi ( «Vi daremo armi finché sarà necessario», dice il ministro degli Esteri britannico. Con licenza d’usarle dentro i confini russi). Una chiarezza rispetto a certi pacifismi che finiscono per favorire la Russia, segno che dai loro predecessori che favorirono l’espansionismo nazista in Europa non hanno imparato la pericolosità di certe velleità. Quando Macron dice che a difesa dell’Ucraina si potrebbe scendere sul campo di battaglia, ecco in Italia un ”Apriti cielo!”, a destra come a sinistra nel dire che questo favorisce l’escalation del conflitto, mentre i russi accelerano per chiudere la guerra e cominciare poi un effetto domino negli altri Paesi confinanti sul lato europeo. E chi non capisce la svolta imperialista e sempre più autoritaria di Putin sembra vivere nel mondo delle favole e dell’ambiguità politica poco sopra descritta.
Lo stesso vale per eccessi di conformismo “pacifinto” della stampa italiana nella stessa logica da piacioni per alcuni commentatori blasé, mentre per altri penso proprio che un giorno si scopriranno i legami occulti con Mosca e i suoi rubli. Fortuna che qualcuno, come l’esperto giornalista Enrico Bonanni su Repubblica, mantiene la schiena dritta e scrive: “Le dichiarazioni di Macron nell’intervista a The Economist hanno il merito di portare la guerra e il fattore Putin nel cuore della campagna elettorale europea. Sono più di due anni che si combatte nel cortile di casa una feroce aggressione contro le democrazie scatenata dalla Russia. I morti sono centinaia di migliaia. I costi sono astronomici. I rischi per la sopravvivenza stessa dell’Europa sono gravi ed evidenti. Ma finora le forze politiche hanno fatto finta di niente. Come se la guerra non fosse una minaccia reale, come se le scelte che impone non riguardassero i cittadini che a giugno saranno chiamati alle urne. Come se, in questo momento storico, l’unico vero crinale politico non fosse schierarsi con l’Ucraina, con l’Europa, con la democrazia, oppure con i loro nemici in armi. Tra i molti struzzi europei che nascondono la testa sotto la sabbia, l’Italia è in prima fila. Il nostro governo nasce da una coalizione in cui gli amici di Putin hanno un ruolo chiave. Ma questo non sembra turbare nessuno. Mentre la premier si dice impegnata a difendere l’Ucraina, il suo vice, Salvini, si affretta a dichiarare che «mai un soldato italiano» sarà coinvolto nel conflitto: una assicurazione che spiana la strada all’offensiva dei russi, pregiudica la deterrenza della Nato, e di cui il Cremlino, se mai dovesse vincere questa guerra, saprà certamente dimostrarsi grato”.
Parole come macigni, che rompono giochini e tabù di chi con Mosca ha giochicchiato con tanto di maglietta con la faccia di Putin e sottoscritto alleanze politiche nero su bianco. Ma Bonanni le canta anche ad altri: “Sul fronte dell’opposizione, del resto, si continua a chiacchierare di un possibile “campo largo” tra Pd e Cinque Stelle. L’unico ostacolo sembra essere la nomina di questo o quel candidato locale o le polemicuzze da quattro soldi tra i leader dei due partiti. Il fatto che Conte si sia ripetutamente dichiarato contrario ad inviare armi all’Ucraina invasa in nome di un pacifismo a senso unico non sembra essere un impedimento alla coalizione”.
Certo Parigi non è governata da verginelle e dosi si aggiunge nel commento: ”E’ chiaro che l’uscita di Macron ha anche motivazioni elettorali. L’opposizione francese di estrema destra, che i sondaggi prevedono vittoriosa nel voto di giugno, è da anni legata alla Russia, come lo sono quasi dovunque gli ultras nazionalisti europei in Germania, in Italia, in Ungheria, in Austria e in Slovacchia. Accentuare i toni anti-Putin vuol dire chiamare tutti ad una scelta di campo. Il messaggio che Macron manda ai suoi elettori, ma anche agli oltre trecento milioni di europei che saranno chiamati alle urne, è semplice e chiaro: attenti a considerare le elezioni di giugno l’occasione per esprimere un voto di protesta. L’Europa che nascerà da quel voto sarà chiamata a fare scelte difficili e radicali per evitare «una morte più brutale di quanto si immagini». Affidare il proprio scontento a partiti che odiano l’Europa, e che sarebbero pronti a piegare la schiena di fronte alla prepotenza di Mosca, può avere conseguenze fatali. La questione di un possibile invio di soldati francesi, e dunque europei, sul fronte ucraino è in realtà solo uno dei possibili aspetti dell’enorme sforzo che la Ue sarà chiamata ad affrontare per rispondere alla sfida di Putin. Nei prossimi cinque anni sarà necessario dare forma e sostanza ad una vera difesa europea, sia che Trump vinca le elezioni americane sia che, sperabilmente, le perda. Questo implica scelte molto difficili in termini di bilancio e in termini di sovranità. Le spese militari andranno considerevolmente aumentate, magari con il ricorso ad un indebitamento comune, a scapito di altre priorità. La politica estera della Ue dovrà essere sottratta al cappio dell’unanimità. Ciò vuol dire, anche se ce lo ricordiamo raramente, che l’Italia, come la Francia o altri Paesi, potrà essere chiamata a sostenere l’onere di scelte che il suo Parlamento non condivide. Infine ci sono due passi tanto indispensabili quanto difficili da compiere. L’Europa dovrà dotarsi di una “intelligence” unificata e centralizzata, senza la quale non possono esistere né diplomazia né difesa comuni. E dovrà munirsi di un proprio deterrente nucleare, oggi sotto l’esclusiva sovranità francese. Macron, che ha giustamente richiamato tutti alla estrema gravità del momento, sarà disposto a una simile cessione di sovranità? Lo vedremo nei prossimi anni. Ma, per vederlo, sarà necessario alle elezioni di giugno salvare l’Europa dagli amici di Putin, accettando il fatto che la sua guerra ci coinvolge tutti in prima persona”.
Pane e pane e vino al vino. Il resto sono chiacchiere più o meno in buona fede e in parte prezzolate da Mosca.