Nelle assemblee parlamentari dove sono stato (Camera dei deputati e Parlamento europeo, Conitato delle Regioni e Consiglio d’Europa) capitava e capita ancora nei ruoli attuali di dover parlare per ragioni istituzionali o in chiacchiere informali della “mia” Valle d’Aosta.
Normale mettere avanti le sue due caratteristiche cardine: il territorio di montagna nella sua eccezionalità che ha forgiato giocoforza la “Civilisation Valdôtaine”; il particolarismo linguistico affermatosi come tale dopo l’Unità d’Italia e il precedente distacco della Savoia, perché prima il bilinguismo francese-provenzale era la caratteristica con l’italiano pressoché inesistente.
Ma certo gli aspetti della Natura sono sempre un elemento forte da rimarcare e per questo il Museo delle Alpi nella rinata Fortezza di Bard, anche nei suoi importanti aspetti comparativi con il resto dell’Arco alpino, è stato da metà degli anni Duemila un biglietto da visita straordinario. Ora abbiamo una seconda vetrina nel nuovo del Museo regionale di Scienze naturali (il vecchio risaliva al 1985), dedicato al mio amico scomparso Efisio Noussan su cui tornerò, ed offre al visitatore un viaggio attraverso la storia dell’edificio e naturalmente - vista la sua missione - attraverso gli ecosistemi della Valle d’Aosta.
In sintesi così si presenta con semplicità: “Le attività del Museo comprendono l’ampliamento e la conservazione delle collezioni, la ricerca e la divulgazione scientifica, al servizio del territorio e della collettività”.
Il castello, che scherzosamente si definisce disneyano per il suo impatto visivo per chi lo veda per la prima volta nel suo troneggiare sopra il paese, è in veffetti una specie di hellzapoppin architettonico per i successivi e abbastanza caotici interventi che dalle sue origini ad oggi ne hanno sortito l’attuale configurazione con un museo che ha dovuto conformarsi ai locali esistenti in un saliscendi fra manufatti di diversa epoca.
Nel sito regionale si legge una sintesi perfetta che adopero: “Arroccato su un’altura, a dominio dell’abitato di Saint-Pierre, il castello è menzionato in un documento del 1287 dove risulta comproprietà della famiglia dei De Quart e di quella dei De Sancto Petro. Tra i proprietari che si susseguirono, merita segnalare Pietro Filiberto Roncas, che nel XVII secolo ampliò il castello e diede al suo interno numerosi ricevimenti. Dopo di allora il castello subì alcune modifiche e cambiò più volte proprietario. Nel 1798 fu venduto ai Gerbore che lo cedettero nel 1873 al barone Emanuele Bollati, il quale affidò a Camillo Boggio di Torino il compito di rinnovare e trasformare il complesso. L’architetto piemontese diede all’edificio quell’originale fisionomia che oggi lo contraddistingue: secondo canoni tipicamente romantici, ne modificò l’aspetto aggiungendo agli angoli quattro torrette di forma circolare”.
Ebbene, detto del contenitore passiamo al contenuto, che racconta della Natura nel suo senso più vasto attraverso sale e salette. Con una premessa: in epoca di digitalizzazione, espressa bene dai visori di realtà virtuale e dalla capacità di fascinazione del Metaverso, la formula della strumentazione scelta nel castello (suoni, immagini, voci e atmosfere) è un giusto compromesso con la presenza fisica di elementi che evitano un tonfo nella immaterialità e questo credo sia un grande pregio.
Questo significa vedere nelle teche o negli espositori minerali, insetti, piante e ammirare animali (ovviamente non vivi) in carne e ossa con un insieme di filmati suggestivi e riproduzioni varie. Ne esce una caleidoscopio di proposte, contenute in un solo luogo, istruttivo per i turisti in visita e pure per i valdostani, specie quelli distratti rispetto al luogo dove abitano, dando come per scontate le nostre tante bellezze. Basta poi, per altro, profittare delle balconate per capire dal vivo con i propri occhi, grazie al panorama che si ammira, che cosa sia la Valle d’Aosta.
Efisio, amico mio e ben prima - perché quasi coetanei - di mio papà (con mio zio Emilio fabbrico pure delle scioline!), ha avuto l’intestazione del Museo per la sua passione di amante e di collezionista di mille aspetti della natura e della cultura valdostane. Ma per me resta un grande imprenditore dalle molte intuizioni. Ricordo il suo ruolo nella nascita della prima televisione dove lavorai, RTA, che fu un fenomeno sociale incredibile negli anni Settanta e Ottanta, e che lui accettò di arroccare in cima al suo Palazzo Fiat di via Chambéry ad Aosta.
Il Museo, tornando a bomba al tema, lo avrebbe commosso.