L’altro giorno ho letto un post che ricordava un episodio che Umberto Eco aveva raccontato sulla sua rubrica dell’Espresso, il grande settimanale d’opinione ormai di fatto morto.
La storiella è questa.
Umberto Eco salì su un taxi a New York e l'autista di origine pakistana notò che portava con sé dei giornali italiani e, quindi, gli chiese per averne certezza: “Mi scusi, signore! Ma lei è italiano?“
Eco rispose: “Si, lo sono!“
Mentre continuava a guidare il tassista gli disse: “Senta le volevo chiedere una cosa. A voi italiani, nel mondo, chi vi odia?“
Eco: “Come, scusi?“
Il tassista esclamò: “Ma sì dai! Tutti i popoli vengono odiati da qualche altro popolo. A noi americani ci odiano tantissime persone come i russi o i palestinesi, e potrei stare qui ad elencarne altri per un quarto d'ora. Quindi, a voi italiani chi vi odia?“
Eco, sorpreso per questa domanda si limitò nel dire: “Ma guardi, nessuno ci odia!“
Il tassista ci rimase quasi male di questa risposta e dopo un po' gli chiese: “Scusi, ancora signore. Ma se a voi italiani non vi odia nessuno, invece, voi chi odiate? Perché tutti i popoli odiano un altro popolo. Gli americani odiano: i messicani, i cubani o i nativi, per esempio. E molti altri. Voi, invece, chi odiate?“
Eco ci pensò e disse: “Nessuno! Non odiamo nessuno sul piano internazionale.“
Il tassista ci rimase nuovamente male di questa risposta. Neppure se l'aspettava. Umberto scese dall'auto e mentre camminava per le strade della città pensò che in realtà c'era una risposta ad entrambe le domande. Gli sarebbe piaciuto rincorrere quell'uomo, bussargli nel finestrino e dirgli: “Mi scusi. Vorrei rettificare. Le ho detto che noi italiani non odiamo e non siamo odiati da nessuno, ma avrei dovuto aggiungere che per compensare siamo formidabili ad odiarci a vicenda. Internamente. Su questo non ci batte nessuno.”
Morale dello stesso Eco: “Noi italiani odiamo tantissimo noi stessi. Il nostro stesso paese. Forse lo amiamo, da un canto, ma dall'altro lo odiamo più di qualunque altro”.
Mi sono chiesto come traslare questo scambio in Valle d’Aosta e mi pare di poter dire due cose. La prima: nessuno penso covi odio nei nostri confronti. Semmai può esistere qualche invidia e qualche gelosia nei confronti di alcuni presunti vantaggi derivanti dalla nostra Autonomia.
Invece qualche grammo, talvolta etto e pure chilo di odio esiste anche in Valle, cui si aggiungono coloro che, pur essendo valdostani, sono detrattori e penso ai soliti noti di comitati e comitatini, pochi ma chiassosi.
Viene in mente un'espressione che descrive anch'essa certe logiche di divisione e di lite di paese, ma questa volta sulle nostre montagne e non al mare. Mi riferisco a quel «Cogne roudze Cogne» («Cogne rosicchia Cogne»), usato da quella bizzarra personalità che fu quel César-Emmanuel Grappein, medico e pure sindaco di quel paese. che con le sue azioni innovatrici e talora discutibili sortì polemiche e liti specie proprio a Cogne. Ebbene, l'uso proverbiale di questa espressione, quasi una maledizione, si è espanso in tutta la Valle d'Aosta a dimostrazione che anche da noi alberga il rischio di dividersi e di farsi del male in un polemica continua, che finisce per avvelenare tutto e far perdere tempo in querelles infinite. Questo vale anche in politica, quando si dovrebbe invece stare uniti su obiettivi comuni ed è un esercizio per nulla impossibile il seme della discordia.
Ricordo la parabola della zizzania presente nel Vangelo secondo Matteo, che ricorda - ammonimento sempre valido - del buon seme la cui crescita è disturbata dalla zizzania.