Gli anniversari sono sempre utili per riflettere. Che siano quelli personali e familiari o quelli più “grandi” che hanno inciso in qualche modo su di noi e sul mondo in cui viviamo. Oggi - per entrare nel tema - siamo abituati a cavalcare, almeno sin quando ci si riesce, le novità tecnologiche e raramente pensiamo bene a quante ce ne siano state di incredibilmente incidenti e che diamo in un certo senso per scontate. Leggevo su Internazionale la rubrica di Giorgio Capozzo, che così inizia: “La televisione italiana compie settant’anni. Era la mattina del 3 gennaio 1954 quando la voce di Fulvia Colombo presentò il primo palinsesto. Tanti auguri. Ma un compleanno forse più rilevante risale al 1924, un secolo fa, quando una convenzione tra l’appena nato ministero delle telecomunicazioni e l’Unione radiofonica italiana, costituita dalla Radiofono di Guglielmo Marconi e l’italoamericana Sirac, diede vita al servizio pubblico, fin da subito con tratti profondamente “italiani””. Per capire le date e il fatto che non siano così remote penso a mio papà, classe 1923, e a mio fratello, classe 1953. Se si guarda più addentro alle invenzioni che ne hanno consentito lo sviluppo si può dire che entrambe hanno le loro radici negli anni Venti del secolo scorso, ma la radio - per molte ragioni - è stata la prima a diffondersi e a incidere grandemente per il suo uso. La televisione si è affiancata un trentennio dopo in un crescendo impressionante. Entrambi gli strumenti hanno agito in sull’opinione pubblica e sulle abitudini e le tradizioni e non solo come fenomeno di costume. Pensiamo a che cosa ha rappresentato la radio nel secondo conflitto mondiale nella logica profonda della propaganda e così l’affermarsi della tv nel segnare fenomeni di cambiamento nell’Italia del dopoguerra e l’esempio del berlusconismo è stato il fenomeno politico più eclatante. La radio e la televisione sono state il mio primo lavoro e, anche nei decenni di politica elettiva, ho sempre mantenuto un cordone ombelicale con queste mie passioni. Penso all’emozione delle prime trasmissioni radiofoniche da ragazzino e questa idea della tua voce che attraversa lo spazio e si diffonde con la paura peggiore per chi trasmette, che è il silenzio o la papera in diretta. Mi rivedo nei vecchi studi della Rai valdostana in via Chambéry con quel loro décor anni Sessanta con la cuffia in testa a pochi centimetri da un microfono monumentale affrontare la Voix de la Vallée o, a pochi metri di lì, nello studio televisivo con la telecamera con la lucina rossa che mi indica l’inizio della lettura del telegiornale da buon mezzobusto. Un giornalismo duplice “radiotelevisivo”, che avevo iniziato, facendomi rapidamente le ossa, nelle emittenti private, un inno alla libertà dell’etere che vissi - assieme a tanti coetanei - con grande ingenuità ed entusiasmo, che travolse anche la RAI e i colleghi paludati cui trasmettemmo la nostra joie de vivre ci., Anni memorabili per la radio e la televisione: l’uscita dal monopolio trasformò la stessa emittente pubblica, che tuttavia ha mantenuto oggi come allora una sudditanza verso la politica che purtroppo è servita in troppi casi a premiare, anche negli anni recen no ti in cui tornai in RAI dopo una lunga aspettativa, degli inetti o degli imbecilli a detrimento dei molti capaci non valorizzati che li debbono sopportare e talvolta subire. Un autentico peccato, visto che personalmente continuo a credere in un ruolo del servizio pubblico (che non è pubblico servizio!) in un mercato necessariamente pluralista e sempre più internazionale per i prodotti e per le tecnologie che galoppano. Ma per avere una RAI che non perda colpi e credibilità, come sta avvenendo con il sorpasso dei privati sia in radio che in tv, ci vorrebbe una riforma in profondità, ma certi occupatori di ieri e di oggi non credo lo vogliano fare.