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04 gen 2024

La crisi dell’Informazione

di Luciano Caveri

Ogni tanto mi stupisco del fatto che ci siano persone del tutto alfabetizzate e talvolta con ruoli significativi che hanno deciso di non informarsi più a fondo o semplicemente si sono abituate a vivere in una bolla di disinformazione. Non che alcuni fra questi non abbiano una eco lontana degli eventi più importanti - quanto per altro impossibile, se non vivendo da eremiti - ma con una totale mancanza di approfondimento dei temi. Per altro a dimostrare quanto in premessa ci sono le il crollo degli ascolti dei telegiornali, gli ascolti radiofonici che premiano radio con notizie in pillole e lo stato comatoso dei quotidiani (anche sommando gli ascolti digitali), la nicchia di vendite dei settimanali che sono sopravvissuti E quindi la fa da padrone l’informazione/disinformazione usa e getta quale breve infarinatura come espressa su alcuni Social, che non sono solo nelle mani dei ragazzini. Scriveva sul tema, pochi giorni fa, su Repubblica Beniamino Irdi: “La minaccia dei social media come piattaforme di disinformazione è ormai ampiamente nota a pubblico e addetti ai lavori. Ma oltre ad influenzare la nostra percezione della realtà in ogni momento, l’esposizione ai social media è una minaccia alla sicurezza e alla tenuta delle società libere attraverso i suoi effetti cognitivi di lungo periodo. Secondo un recente sondaggio di PEW Research, gli adulti che negli Stati Uniti si informano regolarmente sull’attualità da TikTok sono il 14%, rispetto al 3% nel 2020. Nella fascia di età 18-29, la percentuale sale al 32%. Questi numeri indicano una traiettoria destinata a cambiare i fondamenti della nostra società. Gli algoritmi dei social media sono costruiti per massimizzare la permanenza sulla piattaforma. Questo sembra collegato a stimoli sempre più brevi, immediati e superficiali. Facebook ha ceduto il passo a Instagram, che mette al centro l’elemento visuale, e poi a Tiktok, i cui video hanno una lunghezza media intorno ai 30 secondi. L’ultima frontiera è ReelShort, una piattaforma di show in microepisodi di circa due minuti”. Ribadisco come questa logica di pillole più o meno giornalistiche e di una crescente brevità nella trattazione anche di temi complessi crea un vulnus mica da sottostimare. Ancora Irdi: “Questa esposizione genera due effetti. Il primo è semplificatorio. Informarsi su eventi e dinamiche complesse attraverso i social alimenta una percezione del mondo basata sui messaggi più immediati e più facili da processare, e dunque necessariamente distorta. Il secondo, meno esplorato e più preoccupante, è cognitivo. Nel tempo, l’abitudine a stimoli con queste caratteristiche demolisce la capacità di processarne di più complessi. L’abilità di concentrazione prolungata su un singolo stimolo o compito è la prima vittima, come indica il generale calo nella lettura di libri e la sostituzione dei film ad opera delle serie televisive. A ciò si sommano altri effetti noti, ad esempio sulla memoria, sul multitasking e sui sistemi di ricompensa neurologici, oltre a quelli non noti ma plausibili: potrebbe la consuetudine a processare informazioni brevi, semplici e frammentate inibire la capacità di ascoltare gli altri e ricomporre le differenze pacificamente? È possibile che l’abuso prolungato di social media induca negli individui comportamenti più impazienti, impulsivi o aggressivi? Gli algoritmi di intelligenza artificiale e di machine learning sono spesso, per complessità e confidenzialità, delle scatole nere, e in quanto tali perfette armi di disinformazione. Il contenuto visualizzato sui social media è in gran parte orientato dalle proposte della piattaforma, che a sua volta impara sempre meglio i gusti dell’utente a seconda delle sue scelte, addomesticandolo ogni minuto di più. Cosa succede se, oltre che per massimizzare i profitti, un algoritmo è pensato per orientare le opinioni politiche in una certa direzione? O peggio, cosa succede se è pensato appositamente per massimizzare gli effetti cognitivi già descritti?”. Insomma un rischio di distorsione della realtà, di impoverimento culturale e soprattutto di proselitismo.m di chi con capacità strumentalizza chi se lo fa fare.