Confesso di essere stato distratto e mi viene persino da ridere per l’evidente topica. Qualche tempo fa ero a Roma e alla fine di un incontro sentivo molti dei presenti che si dicevano reciprocamente:”Ci vediamo ad Atreju!”. In modo vago avevo capito che si trattasse di un incontro voluto da Giorgio Meloni per esaltare il ruolo di Fratelli d’Italia e coltivare il suo culto della personalità, cui molti intendevano partecipare per baciare la ciabatta al “il Presidente del Consiglio”. Esatta dimostrazione di quanto scritto da Ennio Flaiano: ”Una qualità degli italiani è quella di volare in soccorso dei vincitori”. Aggiungeva anche: “Questo popolo di santi, di poeti, di navigatori, di nipoti, di cognati…”. Calzante per Meloni come non mai. Ma torniamo ad Atreju. Come Paperino, quando pensa nei fumetti con il suo “mumble…mumble”, questa parola “Atreju” mi immaginavo potesse corrispondere ad una ridente località sarda, magari dell’interno dell’isola, tipo Barbagia, in contrapposizione con il berlusconismo da spiaggia in località di lusso. Luogo austero, dove si svolgessero, in una logica da “libro e moschetto”, incontri fra camerati. Scopro invece che è in effetti - fonte Wikipedia - “una manifestazione politica giovanile della destra italiana che si svolge ogni anno dal 1998, generalmente nel mese di settembre, a Roma. Nata come festa ufficiale dell'organizzazione giovanile Azione Giovani, dal 2009 è stata la festa di Giovane Italia, mentre dal 2014 è organizzata da Gioventù Nazionale”. Auspice Giorgia Meloni ab origine, oggi è la celebrazione della stessa ormai adulta e con lei il suo Fratelli d’Italia, che si sta ripulendo nella logica di Governo delle palesi scorie neofasciste, che ogni tanto riappaiano, malgrado il doppiopetto (nel caso della Meloni i criminali tailleur di Armani, che non me rendono giustizia)al posto dell’orbace. Divago e torno al punto dalla stessa fonte: “L'incontro prende il nome da Atreju, a mela protagonista del romanzo La storia infinita di Michael Ende, volendo richiamare, secondo gli organizzatori, la sua volontà di lottare contro il Nulla che avanza, inteso dal punto di vista filosofico e morale”. Leggerò il libro, lo prometto. Intanto scopro la biografia dell’autore il cui incipit è questo: “Michael Andreas Helmuth Ende (Garmisch-Partenkirchen, 12 novembre 1929 – Stoccarda, 29 agosto 1995) è stato uno scrittore tedesco universalmente noto soprattutto per i romanzi Momo e La storia infinita. Il padre di Michael, il pittore surrealista Edgar Ende, aveva un'attività artistica inizialmente ben avviata, che però incontrò nel corso degli anni '30 diverse difficoltà, a causa dell'imporsi del regime nazista, finché, nel 1936, fu costretto a sospendere qualunque esposizione. L'anno successivo tutte le sue opere furono confiscate dalle autorità in quanto "arte decadente"”. Più avanti: “Nel 1945 Michael venne forzatamente arruolato per l'estrema difesa della Germania nazista, ormai prossima alla disfatta totale. Dopo un addestramento di un sol giorno, fu mandato al fronte, dove vide morire tre suoi compagni nei primissimi combattimenti. Michael gettò a terra il fucile e scappò, percorrendo a piedi, lungo tutta la notte, ottanta chilometri, nel tentativo di raggiungere Burach, dove viveva sua madre. Entrò quindi in un'organizzazione antinazista (Fronte per la Baviera Libera) sino al termine della guerra”. Insomma: non so se la compagnia in cui è stato arruolato - penso ai legami di Fratelli d’Italia con Casa Pound o con gli spagnoli di Vox neri come la pece o al filorusso ungherese Orban - sia proprio corrispondente alla vita dell’autore e ai suoi pensieri. Resta il fatto che pare poco apparentata questa Festa di partito all’irraggiungibile e di fatto defunta Festa dell’Unità, per non dire - pur nel suo piccolo - del Rendez-vous valdôtain di stampo unionista. Segno che certo carattere popolare, esempio di vasta partecipazione alla vita dei partiti, è purtroppo e per tutta la politica un ricordo.