Ho scritto più volte delle storture possibili nell’uso del cosiddetto ”politicamente corretto” non nella logica preconcetta da entrambi fra Destra e Sinistra, quanto invece nell’uso del buonsenso e della misura. Oggi a questa definizione si é aggiunto il termine ”woke”, sempre nato negli Stati Uniti e altrettanto discusso. Ne scrivo scevro da logiche ideologiche già emerse anche nel dibattito italiano. Traggo dal Post alcuni passaggi. Nasce in positivo: ”Woke” non è davvero traducibile in italiano – vuol dire qualcosa come “consapevole” – ma indica, o almeno indicava originariamente, l’atteggiamento di chi presta attenzione alle ingiustizie sociali, legate principalmente a questioni di genere e di etnia, e non ne rimane indifferente, solidarizzando ed eventualmente impegnandosi per aiutare chi le subisce. Nel Novecento l’espressione “woke” esisteva già ed era usata soprattutto tra gli afroamericani, sia con l’accezione di “stare all’erta” rispetto a un pericolo, sia con quella più generica di essere a conoscenza di qualcosa. La sua diffusione col significato attuale però risale allo scorso decennio, quando fu usata nell’ambito delle proteste di Black Lives Matter per esprimere il concetto a cui è stata poi associata negli ultimi anni: cioè la consapevolezza su una serie di questioni e problemi legati al razzismo e al sessismo sistemico – nel senso di radicati nelle istituzioni e nelle dinamiche sociali – della società americana (e per estensione di quelle occidentali)”. Ma poi si é passati ad uno uso estremistico e dunque la parola ha cambiato in parte il suo senso:” Woke è diventato un termine perlopiù negativo, usato con l’intento di ridicolizzare e attaccare i movimenti giovanili progressisti, associandoli alle loro espressioni più intransigenti e aggressive, presenti principalmente sui social network. Per esempio le campagne portate avanti in diversi campus universitari americani per allontanare professori accusati – spesso pretestuosamente o ingiustamente – di aver usato parole offensive, oppure quelle che chiedono il licenziamento di personaggi pubblici di vario tipo per via di dichiarazioni considerate controverse, o che mobilitano grandi e bellicose masse di account contro qualcuno che abbia detto una cosa considerata disdicevole rispetto alle suddette sensibilità. Queste dinamiche, che sono oggetto di riflessioni e studi anche preoccupati, soprattutto in ambito accademico, fanno più precisamente riferimento al fenomeno della “cancel culture”, e sono legate secondo molti non tanto all’impostazione ideologica woke quanto alle modalità con cui le piattaforme dei social network hanno reso il confronto tra idee diverse spesso violento, intollerante e polarizzato”. Leggo con curiosità su L’Express, che non è certo un giornale conservatore, quel che racconta l’economista Nicolas Bouzou: ”Le wokisme est-il une lubie d’activistes et de professeurs de sociologie américains ou un mouvement de fond qui tend à transformer nos sociétés ? Les déboires de Disney en Californie plaident pour la première de ces réponses. Les illustres studios avaient fait feu de tout bois ces dernières années pour montrer à quel point ils étaient sensibles aux arguments des activistes woke, et par là même insoupçonnables de racisme ou d’homophobie. Retrait du catalogue de la plateforme Disney + des Aristochats – un chat siamois a les yeux bridés –, de Peter Pan – il y a des « Peaux-Rouges » –, de Dumbo – des AfroAméricains sont représentés en corbeaux – et évidemment d’Aladin, pour bien montrer que l’entreprise est consciente du caractère outrageusement raciste de ces dessins animés. Multiplication des héros queers et noirs dans les nouvelles productions. Engagement pour que 50 % des personnages principaux soient issus de minorités. Le problème, c’est que les films The Marvels et Wish, Asha et la bonne étoile, sortis cette année, sont deux échecs critiques et commerciaux. D’après le sondage réalisé par AxiosHarris, Disney est passé en quelques années de la quatrième marque préférée des Américains à la 77e en 2023. Surtout, la valorisation boursière du groupe, le véritable juge de paix outre-Atlantique, a été divisée par deux en dix-huit mois”. Interessante, perché è il pubblico, nella sua generalità ad aver punito gli eccessi in azione anche nella letteratura o nelle favole con correzioni woke e lo stesso vale con la citata cancel culture che abbatte statue e cambia il nome delle strade in modo arbitrario e spesso ridicolo. Sia il politicamente corretto che il woke nascono con intenti nobili e dunque bisognerebbe evitare di buttare il bambino con l’acqua sporca, ma si sa che viviamo in un mondo in cui, purtroppo, stanno vincendo gli estremisti, che degradano anche parole ed espressioni nate ricche di buone intenzioni.