Qualche tempo fa avevo scritto di aver ricevuto da Maurizio Sella, Presidente del celebre gruppo bancario e finanziario, un libro interessante che incrocia la storia della sua famiglia con le montagne valdostane e con la passione enorme per l’alpinismo, tramandata di padre in figlio. Nell’occasione avevo segnalato un elemento singolare: esiste ormai radicato dalla seconda metà dell’Ottocento un ramo valdostano dei Caveri proprio a causa del più celebre dei Sella, quel Quintino enfant prodige della politica, imprenditore nel settore tessile e fra i fondatori del Club Alpino Italiano. Fu lui, infatti, a chiedere la testa del mio bisnonno Paolo, Prefetto di carriera, perché era intervenuto nel corso di uno sciopero degli operai biellesi. Fu chiesta e ottenuta la sua rimozione e, dopo un periodo alla Sottoprefettura di Albenga, arrivò ad Aosta e radicò i Caveri ”valdostani”. Il resto della famiglia, originaria di Moneglia ma con attività a Genova (il fratello del mio bisnonno, Antonio, ebbe importanti ruoli politici e universitari) rimase in Liguria. Il Presidente Sella ha con grande gentilezza risposto alla mia posta elettronica e ne ricordo gli aspetti salienti. ”Vorrei aggiungere - scrive il mio interlocutore - altre notizie alla tesi di laurea, da te citata, di Arianna Michelini “La classe dirigente liberale e lo sciopero La relazione della Commissione Parlamentare sugli scioperi del 1878”, relatrice prof.ssa Gigliola Dinucci, presso l'Università degli Studi di Firenze. Il professor Guido Quazza e la moglie Marisa Piola Quazza hanno pubblicato, per conto dell'Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano di Roma, l' «Epistolario di Quintino Sella» ove sono trascritte le lettere di Quintino dal 1842 alla morte, avvenuta in Biella il 14 marzo 1884. Nel volume, in cui sono state trascritte le lettere dal 1842 al 1865, il sottoprefetto Paolo Caveri è citato più volte in alcune lettere del 1862. Quintino era allora, all'età di 25 anni, per la prima volta ministro delle Finanze. Ecco quanto scrive a Ubaldino Peruzzi, ministro dell'Interno, nella sua lettera del 31 dicembre 1862 che tu citi e di cui trascrivo alcuni passi: « Caro Ubaldino, credo tu sia informato di alcuni scioperi di operai che nocquero nel Biellese alle fabbriche del Mandamento di Mosso. Il sottoprefetto ha creduto sempre di ingerirsi, e la sua ingerenza (come al solito dell'ingerenza governativa) a mio parere la reso la cosa più pericolosa che non fosse da principio. Le popolazioni operaje del Biellese furono fin qui tranquille e vi sono pochissimi elementi di perturbazione […] Però ove gli operai si ficchino in capo di essere spalleggiati dall'autorità politica contro i fabbricanti, e questi invece credano di non poter contare sulla imparzialità dell'autorità politica, ne possono nascere sconcerti che coll'andare del tempo si farebbero gravi [...]. Tu vedrai poi nella tua saviezza quel che convenga fare e se, di qui a qualche tempo, una traslocazione del sottoprefetto (persona d'altronde stimabilissima) non giovi a lui ed alla cosa pubblica.» [Guido e Marisa Quazza (a cura di), Epistolario di Quintino Sella Vol. I 1842-1865, Città di Castello, 1980, pp 417-418]. Aggiunge il Presidente Sella: ”Nella stessa data del 31 dicembre 1862 Quintino scrive anche a Paolo Caveri per precisare quali siano le lagnanze degli industriali lanieri verso di lui: ”Pregiatissimo Signor Cavaliere, ricevetti da parecchi fabbricanti di Mosso gravi lagnanze per la questione degli operai e, benchè io non abbia alcun personale interesse in coteste fabbriche del mandamento di Mosso, tuttavia, come deputato di questo mandamento non posso chiuder le orecchie alle lagnanze che mi pervengono. Indi è che mi prendo la libertà di scriverLe apertamente sopra questo argomento di sua natura delicato, e che può farsi pericoloso. I fabbricanti mi dicono che la Signoria Vostra abbia assicurato gli operai che, quando essi fossero ritornati al lavoro, le multe non sarebbero state applicate che in una misura più ristretta dell'attuale e sarebbero state applicate soltanto a casi straordinari e gravi. I fabbricanti mi assicurano poi (per la conoscenza che ho della materia sono inclinato a crederlo) che essi non hanno fatto simile promessa. Intanto gli operai sono tornati al lavoro fiduciosi, a quanto pare, che non pagheranno più multe e la calma pare rinata, ma evidentemente possono rinascere nuove, e più gravi, difficoltà, quando si debba applicare qualche multa. Ora Ella non l'avrà a male se sinceramente io Le dirò che non credo utile Sua ingerenza nelle difficoltà che nacquero fra gli operai ed i fabbricanti […]. Io non veggo come debba il governo intervenire fra un capo fabbrica e i suoi operai […]. Infatti quando l'autorità politica entra in questione sopra l'invito d'una sola delle parti facilmente diventa parziale per quella che l'invitò [...]» [Guido e Marisa Quazza (a cura di), Epistolario di Quintino Sella Vol. I 1842-1865, Città di Castello, 1980, pp 418-419]. Prosegue poi la risposta: ”Nelle fabbriche laniere del Biellese, ove era passata dal 1817 la fabbricazione dei panni dalla lavorazione artigianale nelle case a quella con i macchinari della rivoluzione industriale, l'organizzazione produttiva era agli albori e per arrivare ad un buon standard produttivo, gli operai erano per regolamento interno soggetti a pagare multe per gli errori che rovinavano le stoffe. Le parole di Quintino si rivelarono profetiche: la sua lettera del 28 aprile 1863 al ministro dell'Interno Ubaldino Peruzzi così cominciava: « Onorevole Signor Ministro. Ella non ignora come nello scorso anno siano avvenuti alcuni scioperi tra gli operai dei lanifici della Valle di Mosso (Circondario di Biella); e forse ricorderà come io avessi allora a trovare meno opportuno l'intervento del Sotto-Prefetto il cui contegno, benchè dettato dalle migliori intenzioni, aveva fatto credere agli operai che il Governo li appoggiasse, ed aveva fatto temere ai fabbricanti che si desse incentivo a nuovi guai». Raccontava poi dei seri problemi sorti in aprile nella fabbrica “Sella e Compagnia” e altre fabbriche circostanti in cui gli operai avevano scioperato perché non volevano più pagare le multe per cui così concludeva «Ora Ella vede onorevole signor Ministro come da un fatto di questo genere a fatti più gravi contro la proprietà e le persone [vi sia] sì piccola distanza che occorre provvedere senza indugio […] Ei mi pare che converrebbe far aprire senza indugio una indagine fiscale sull'avvenuto, e muttare l'attuale Sotto-Prefetto, il quale per desiderio di bene essendosi ingerito nelle quistioni dei salarii ha perduto troppo della sua autorità morale». [Guido e Marisa Quazza (a cura di), Epistolario di Quintino Sella Vol. I 1842-1865, Città di Castello, 1980, pp 444-445]. Poco dopo, il 3 maggio 1863, in una lettera a Silvio Spaventa, segretario generale del ministero dell'Interno, Quintino Sella, preso atto dell'arrivo del nuovo sotto prefetto Del Frate a Biella, così interveniva a favore del Caveri: « Vidi che mandi il Caveri ad Albenga. Non vi sarebbe modo di dargli una migliore Sottoprefettura? Ne parlai già due volte al Peruzzi, allorquando tu eri col Principe degli Abbruzzi. Il Peruzzi era anche dispostissimo a cercare alcun che di meglio. Vorrei ora ammansire anche te. La Sottoprefettura di Albenga e per popolazione e per importanza è tanto al disotto di quella di Biella, che la traslocazione assume carattere di punizione. Ora è egli opportuno, e per riguardo alla persona e per riguardo alla causa, dar carattere di punizione alla traslocazione del Caveri? Quanto a me non credo. Nell'affare dello sciopero il Caveri mostrò a mio giudizio che non aveva mai studiato codesta quistione, e che in tutti i casi ha più bontà d'animo e rettitudine di intenzioni che penetrazione. Ora il dare alla sua traslocazione carattere di punizione potrebbe essere pretesto ad agitatori di sommuovere anche di più gli operai, e sarebbe strazio grande al Caveri, il quale in un circondario non industriale, od almeno non tormentato da scioperi, può amministrare bene». [Guido e Marisa Quazza (a cura di), Epistolario di Quintino Sella Vol. I 1842-1865, Città di Castello, 1980, pp 448-449]. Insomma Quintino ha anche parole di stima, oltreché di comprensione, per lo sbaglio del suo antenato. Da ultimo, sull'atteggiamento di Quintino nel rifiutare ogni intromissione governativa nelle questioni tra fabbricanti ed operai pesa l'ideologia liberale e Giolitti condividerà e tornerà alla stessa posizione di Quintino agli inizi del secolo XX”. Quel che è certo - consentitemi la chiosa - è che in fondo l’intervento del mio bisnonno precorse i tempi e oggi è del tutto normale un ruolo prefettizio nelle vertenze sindacali, noto con il termine di ”raffreddamento”. Io stesso, quando incarnai le funzioni prefettizie devolute in Valle d’Aosta al Presidente della Regione, mi occupai alcune volte di questa materia senza ingerenza alcuna.