Fra i pochi privilegi dell’invecchiare è che hai ricordi delle cose vissute e naturalmente delle persone. Questo consente di avere la possibilità di raccontare ad altri delle onnessioni mentali altrimenti per loro non percorribili. Ci pensavo in queste ore mentre ero semisteso su di una poltrona con il naso in su verso lo schermo del planetario di Saint-Barthélemy, che è una frazione montana del Comune di Nus in Valle d’Aosta. Il luogo è suggestivo, perché è un vallone e non una vallata, quindi una specie di incompiuta rispetto all’orografia della mia Regione. Steso com’ero, in occasione del ventennale dell’Osservatorio astronomico che si trova a pochi metri, vedevo scorrere i misteri del cosmo fra galassie, pianeti, stelle e buchi neri e pensavo con i piedi più a terra al genius loci del posto. L’avevo raccontato poco prima ai presenti in uno di quei discorsetti di circostanza in cui mi sforzo, quando ci riesco, di dire qualcosa che non annoi l’uditorio. Così il primo pensiero era al fatto singolare che in quel piccolo paesino per anni - e ne ero testimone diretto nei miei esordi radiofonici in RAI - esisteva una piccola stazione meteorologica gestita da Clément Fillietroz, cui ora è intitolato la Fondazione che gestisce lassù l’attività scientifica. La Voix de la Vallée, il Gazzettino radiofonico regionale, si concludeva con i bollettini meteo elaborato lassù da questo appassionato montanaro. Cambio scenario. Da giovane deputato vengo chiamato a Ivrea da un amico a fare da moderatore a una serata con il famoso fisico Tullio Regge. È lui, a fine serata, a chiedermi se fosse stato o realizzazione un osservatorio astronomico a Saint-Barthélemy. La risposta mia fu che non ne sapevo niente e Regge mi spiegò che quella nostra località montana era stata candidata per un osservatorio europeo, poi costruito alle Canarie e la scelta era dovuta alla posizione e alla mancanza di inquinamento luminoso. L’indomani chiedo spiegazioni al mio segretario particolare di allora, David Mortara, consigliere comunale di Nus e scopro che pure lui ignorava della candidatura. Partiamo entrambi in tromba e poniamo il seme che poi ha sortito l’esito finale di un luogo utile per il turismo e anche per la ricerca scientifica. Ma ci sono altre sue connessioni. La prima significativa per chi, come me, si dagli esordi si è occupato dei progetti Interreg e cioè quel programma europeo che si occupa dall’inizio degli anni Novanta della cooperazione transfrontaliera. E essenziale per i primi passi del progetto di cui parlo un accordo con la Savoia grazie ad un amico, il politico di lungo corso Michel Bouvard. Un inizio che ha poi portato ad avere soldi europei per Saint-Barthélemy. Il secondo filone è stato il ruolo essenziale della guida allo sviluppo del sito di un valdostano d’adozione, Enzo Bertolini, nato a Verona il 4 maggio 1932, si era laureato in Ingegneria industriale elettrotecnica a Padova nel 1958, specializzandosi in Fisica nucleare applicata, per poi lavorare, studiare e insegnare, girando il mondo: dall'Europa (al Cern di Ginevra) agli Stati Uniti (professore all’University of California), passando per la Corea del Sud. Fu lui a scegliere fecondi percorsi di ricerca scientifica, presi in mano successivamente dal vulcanico Jean Marc Christille, che ha dato ulteriore impulso ad un’eccellenza valdostana che attira ricercatori per nuove scoperte e anche turisti interessati dalla scienza e dal cielo stellato. Tanti ricordi e tanti momenti di vita vissuta.