Un lungo dibattito nel Consiglio regionale della Valle d’Aosta su di un tema politico fa sempre bene. Avviene abbastanza di rado, perché ormai i lavori sono spesso troppo concentrati su domande e risposte attraverso interrogazioni e interpellanze che simulano fra maggioranza e opposizione una specie di lotta a due, tipo wrestling, lo sport-spettacolo nel quale si combina l'esibizione atletica con quella teatrale. Per cui una leggina sull’Ottantesimo dell’Autonomia ha invece sviluppato una mattina di tenzone verbale. L’anniversario è legato a quel periodo fra guerra e dopoguerra in cui si sono sviluppate una serie di vicende ormai storicizzare, ma ancora da indagare che hanno portato all’attuale ordinamento autonomo della Valle d’Aosta. Gli anniversari di questo tipo servono per ricordare e celebrare il passato e fanno parte del dovere della memoria, troppo spesso corta nei popoli come nelle persone. Nel caso in esame non bisogna solo pensare agli aspetti positivi che portarono all’attuale Regione autonoma, ma al male e al dolore da cui sortì questa stagione autonomistica che stiamo ancora vivendo. “Quelli che non ricordano il passato sono condannati a ripeterlo”. Questa frase si trova incisa in trenta lingue su un monumento nel campo di sterminio di Dachau. Uno dei luoghi utili per evocare in un batter d’occhio uno dei tanti orrori del Novecento. Anche io, in quindici minuti di intervento, che ormai sono tempo giusto di fronte a qualunque uditorio per la drastica riduzione dei tempi di attenzione, ho espresso i miei pensieri, di cui - senza ripetere il medesimo discorso - vorrei rievocare qui il senso. Nella convinzione della bontà della scelta di chi come me ha scelto la pericolosa esperienza di andare a braccio nell’oralità, sapendo però che lo scritto ha un suo valore complementare. Scrivere ha una sua intrinseca lentezza che permette di meglio congelare i propri pensieri. Vorrei anzitutto sostenere la bontà della Storia e del suo studio e considero. per chi crede dell’identità valdostana, un dovere conoscerne elementi di base per capire chi siamo oggi e chi eravamo, come comunità, in quei travagliati anni Quaranta del secolo scorso. Per capire perché si affermò anche da noi il Fascismo e come mai un piccolo gruppo di persone non si piegò al regime e consentì quella successiva Resistenza con una marca originale rispetto agli altri territori. Per cui alle rivendicazioni democratiche valide per tutti si aggiunse la richiesta di una libertà per i valdostani e come conseguenza di una forma di autogoverno. Quanto si ottenne al ribasso rispetto al pensiero federalista dei padri fondatori che si rifacevano al pensiero del martire valdostano, Émile Chanoux, ucciso dai fascisti nel maggio del 1944. Altro dovere: capire le ragioni ancora più antiche di questo desidero di autonomia e l’importanza della propria cultura in un lembo di terra di confine e del ruolo del particolarismo linguistico che ne consegue. La montagna, i suoi ritmi e le sue tradizioni, sono lo scenario oggi come allora da cogliere anch’esso nella sua singolarità. La trasmissione generazionale è in questo senso essenziale e se le celebrazioni sono indispensabili per mantenere vivi fatti e ricordi non devono essere imbevute di retorica e di prosopopea. Bisogna scegliere modalità semplici ma efficaci con una comunicazione che crei ponti con giovani distratti da mille cose e purtroppo distanti dall’impegno politico che fu il motore del riscatto degli anni che intendiamo rievocare. In più - e questa è la parte più difficile - per la Politica valdostana sarebbe ora di guardare con attenzione agli scenari futuri, crescendo gli elementi comuni per evitare l’addormentamento delle coscienze e per mettere a fuoco le sfide per evitare che l’autonomia speciale declini pericolosamente. Il confronto con Roma e con l’Europa è un esercizio indispensabile e non ci si deve chiudere in sé stessi e cedere alla tentazione di onorare doverosamente il passato senza adoperare l’occasione per guardare avanti.