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27 giu 2023

Le Alpi “umane”

di Luciano Caveri

Ancora oggi, quando si parla di montagna e delle sue caratteristiche le più varie, si pensa da parte di molti – per distrazione o ignoranza – perlopiù all’alpinismo. Pratica straordinaria, che ha sdoganato dal Settecento le alte cime e fatto conoscere al mondo terre non così note al resto del mondo, intendendo per questo in particolare l’alta montagna, quindi neve, roccia, ghiaccio e quote elevate, utilizzando al momento opportuno le varie tecniche adeguate al terreno. Ricorda Mariel Bluteau, non a caso evocando gli inglesi che furono i primi “scopritori”, sul sito di Radio France: “Il est intéressant de noter que les anglophones utilisent le mot "alpinism" mais aussi et surtout un terme plus ancien, "mountaineering", qui ne fait pas référence aux Alpes mais à la montagne. Sa traduction française, « montagnisme », qui existe aussi, n'est utilisée que très rarement. D'autres termes sont apparus plus tard pour désigner la pratique de l'alpinisme spécifique à d'autres massifs : le pyrénéisme, l'himalayisme, l'andisme… Mais le terme "alpinisme" reste utilisé de façon générale pour tous les massifs du monde”. Ma è sempre bene fare in modo di spiegare che il mondo della montagna è molto più complesso e se l’alpinismo resta una punta di diamante, con la sua pratica ordinaria e certe imprese di straordinaria eccellenza, c’è poi un ricco mondo della montagna sottostante, ma non minore. Ci pensavo l’altro giorno, trovandomi nel vallone di Vertosan sopra Saint-Nicholas per un delizioso e direi godurioso pranzo tipico a Lo Grand Baou dove la famiglia Marcoz, sotto la direzione di Denise veterinaria-ristoratrice, ha dagli Settanta convertito proprietà di famiglia in questo luogo di accoglienza. Vertosan è un termine in patois che significa Comba di Vert Tzan e significa letteralmente Valle del Prato Verde e l’abbondanza delle acque in effetti consente questa natura verdeggiante, da cui il toponimo. L’esempio è significativo di un’altra montagna che si rivolge non solo agli alpinisti, ma ai semplici escursionisti, che devono però saper cogliere non solo l’ambiente naturale in cui vivono le loro esperienze, ma avere consapevolezza di che cosa siano le Alpi. Con buona pace di chi ritiene che sia uno spazio selvaggio in cui la presenza umana è accessoria se non invasiva. Purtroppo certo ambientalismo ha imposto, con disgusto, il verbo “antropizzare”, come se i montanari fossero elementi estranei alla Natura, invasori di luoghi altrimenti destinati a chissà quale ruolo senza la loro presenza…ingombrante. Follie, verrebbe da dire, se non che certe logiche striscianti guadagnano purtroppo terreno. Vertosan, invece, è zona di alpeggi che segnano la presenza umana nel connubio con quelle bovine valdostane anticamente addomesticate e la catena da allora per fortuna non si è spezzata, anche se troppi villaggi di alta quota, sia per ragioni climatiche che per fenomeni sociali di spopolamento, oggi sono in parte abbandonati. Ma, come appena citato, si moltiplicano i casi virtuosi di riutilizzo di strutture antiche. Mi sono fatto indicare – seguendo il genius loci che si avverte nella vallone - la zona cui si riferisce una poesia del poeta in francoprovenzale, l’Abbé Jean-Baptiste Cerlogne, che racconta della Bataille de Reines a Vertosan svolta nella zona, si tratta di battaglie incruente ed istintive per le vacche il cui scopo è quello di decretare in maniera naturale una “Regina” del gruppo. Ecco un passaggio della poesia: “Euna vatse s'avance in branlen sa sonnaille: / L'est Fribour, que s'en vin presenté la bataille. / Maurin, reina di Breuil l'attendzet a pià fer. / Lé s'anuflon toustou, s'aveitson de traver. / Inque cella di Breuil, quoique dza bien lagnäye, / Se bette a borallé; l'est totta inforochäye; / Sa gordze l'est in boura, et soufle de son nà, La terra que vegnan de dzaraté se pià. / L'an corne contre corne, et fron contre lo fron; / I meiten di s-épale infonçon lo cotson. / Binque fejan d'effor tseut leur membro cracävon; / Leur s-ousse sortichan, leur veine se conflävon; / Et tsaqueuna, a be-tor, pe pa perdre terren / Plante se coque in terra, et lé vat pa pi llioen. / Egala l'est leur force, egal l'est leur coradzo: / Faren-t-è de leur gloère ettot egal partadzo?”  La traduzione: “Una mucca arriva agitando il suo campanaccio: / È Fribour, che si presenta per battersi. / Maurin, regina del Breuil a piede fermo l’aspettava. / Lì tosto si annusano, si guardano di traverso. / Poi quella del Breuil, sebbene già molto stanca,  / Comincia a muggire; è tutta inferocita; / La sua gola schiuma, e soffia con le narici / La terra che i suoi zoccoli han sollevato. Hanno corna contro corna, e fronte contro fronte; / In mezzo alle spalle infossano il loro collo. / Mentre facevano lo sforzo tutte le loro membra scricchiolavano; / Le loro ossa affioravano, le vene si gonfiavano. / Ed entrambe, a turno, per non perdere terreno / Piantano i loro zoccoli in terra, e di lì non si muovono. / La loro forza è la stessa, uguale è il loro coraggio: / Faranno anche della loro gloria un’equa spartizione?”. Sono molte altre le azioni, le vicende, le storie che possono essere oggetto del nostro storytelling nel raccontare la nostra montagna viva e abitata.