Torna in pista la legge sulla montagna o meglio la riscrittura profonda della legge in vigore, che risale al 1994, quando la votai convintamente, e che ebbe come principale promotore il Senatore Natale Carlotto, big della Coldiretti, classe 1931. Ancora oggi Natale, cuneese combattivo e simpatico, vive con un giusto rimpianto: quella legge, che era piena di norme interessanti, è stata inghiottita dalla burocrazia statale, che ne ha sancito purtroppo la scarsa applicazione. L’insegnamento, che appresi in quegli anni di attività parlamentare, è che bisogna diffidare di norme che rinviino a provvedimenti successivi con decreti vari che, mai emanati, boicottano anche la migliore legislazione. Consci di questo triste destino, siamo stati in molti a puntare ad una riscrittura, che tenesse conto dell’evoluzione delle discussioni sul futuro delle montagne. Uso il plurale convinto, anche grazie a molte battaglie in Europa sul tema, che dire “montagna” non riflette la realtà plurale di territori che possono avere caratteristiche diverse. Il caso italiano è rappresentativo: le Alpi non sono tutte uguali e se le si comparata agli Appennini le differenze sono evidenti, così come l’apparente paradosso di isole che dal livello del mare si ergono verso il cielo. Queste differenze si evidenziano se ci allarghiamo al perimetro europeo di cui facciamo parte. In Italia la madre giuridica per le montagne è il polveroso articolo 44, mai rinnovato: “Al fine di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali, la legge impone obblighi e vincoli alla proprietà terriera privata, fissa limiti alla sua estensione secondo le regioni e le zone agrarie, promuove ed impone la bonifica delle terre, la trasformazione del latifondo e la ricostituzione delle unità produttive; aiuta la piccola e la media proprietà. La legge dispone provvedimenti a favore delle zone montane” Chiaro? Questa frasetta finale, situata nel contesto agricolo, condanna la montagna ad una vecchia visione rurale, per nulla corrispondente alla realtà attuale. Eppure il Parlamento ancora di recente qualche modifica alla Costituzione l’ha fatta anche su principi importanti. Pensiamo all’articolo 9: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”. È stato aggiunto, scritto con i piedi per un ambientalismo d’accatto, questo comma finale: “Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali”. Così come l’articolo 41: «L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali”. Nel primo comma spuntano “salute e ambiente”, nel secondo “ambientali”. Mentre la montagna resta impiccata al vecchio 44, che sarà pure estensibile per la sua genericità, ma resta un comma di fatto inespressivo. Sul piano europeo c’è l’articolo 174 dei Trattati: “Per promuovere uno sviluppo armonioso dell'insieme dell'Unione, questa sviluppa e prosegue la propria azione intesa a realizzare il rafforzamento della sua coesione economica, sociale e territoriale. In particolare l'Unione mira a ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni ed il ritardo delle regioni meno favorite. Tra le regioni interessate, un'attenzione particolare è rivolta alle zone rurali, alle zone interessate da transizione industriale e alle regioni che presentano gravi e permanenti svantaggi naturali o demografici, quali le regioni più settentrionali con bassissima densità demografica e le regioni insulari, transfrontaliere e di montagna”. Fu una fatica aggiungere “montagna”, ma il vero passo in avanti sarebbe una direttiva europea che ne fissi gli ambiti territoriali. In questi giorni, tornando al dibattito in Italia, ho riproposto a chi se ne occupa al Ministero delle Autonomie, delle annotazioni delle Regioni (di cui sono portavoce in materia) sulla riscrittura della legge. Resta essenziale la questione della perimetrazione per evitare quanto ampliamente già avvenuto in Italia: considerare montagna anche quello che non lo è e infilare le politiche per la montagna nell’ambigua definizione di “aree interne”. Insomma: vicenda complessa, ma importante per un Valle d’Aosta che è davvero montagna!