Durante la pandemia ci si salutava tipo “Augh!”. Avete presente? Si tratta di un noto falso: sarebbe stata la parola di saluto attribuita ai nativi americani del Nord America, in genere accompagnata da un gesto con la mano alzata e il palmo rivolto in avanti. Ciò non corrisponde a una reale abitudine dei nativi, ma se lo sono inventati nei fumetti e nei western. Oppure i più sviluppati adoperavano un timido e sfiorante pugnetto (nulla a che fare con il suo femminile). Scappare dalla stretta di mano era di prammatica e le poche volte in cui mi azzardai a farlo fui vittima di ovvie rampogne. Colpiva molto, quando si incontravano persone in Francia e Svizzera, la fine della “bise” (bacetto con abbraccio sulle guance con versione a due o a tre). Ora, chi segue le mode e l’evoluzione dei costumi, nota un cambio di marcia proprio in Italia dove l’abbraccio e eventuale bacio erano da sfera familiare o poco più. Come mai? Mah, scovo un articolo sul Foglio che forse offre almeno una delle spiegazioni possibili e cioè l’influenza televisiva sui nostri comportamenti. Scrivere Stefano Pistolini: “Ma quale austera stretta di mano…! E’ tutto un vieni qua, fatti stringere forte! Italia, terra di generosi abbracciatori. Prima mica era così, eravamo più riservati. Gli abbracci, quelli veri, erano riservati a occasioni straordinarie, un reincontro, un addio, un festeggiamento, perfino un cordoglio, era una cosa più privata, pudica. Invece da qualche tempo pare ci si abbracci come se non ci fosse un domani – ovviamente parliamo della metarealtà nella televisione pop d’ultimo (penultimo) modello, insomma i reality, i talent, i grandi eventi, tutto ciò che è governato dall’occhiuta direzione del famigerato pool di autori, flagellato dal problema di chiudere degnamente i segmenti delle loro torrenziali produzioni. E’ in questa rabberciata gouache delle emozioni italiane, che poco alla volta, irresistibilmente, s’è fatto largo l’abbraccio”. Una novità che avvenga in maniera così torrentizia. Annota l’autore dell’articolo: “Prima non ci abbracciava mica così tanto davanti alle telecamere, se non a centro campo tornando dal gol, nel volta-pagina trionfale della passione sportiva. Ma l’abbraccio forte, ambosessi, possente, insistito, privo di implicazioni erotiche, quell’esibito bisogno di “sentirsi” non si vedeva mai, era roba da paisà, da carrambata, da melò, un’eccezionalità. Poi qualcuno nelle stanze di scrittura ha capito che il gesto aveva una sua cadenza funzionale, faceva minutaggio e si attagliava al nuovo trend: la cavalleresca competizione praticamente su tutto, ma sempre nel ritrovato orgoglio d’essere italiani prima e sentimentali subito dopo”. Infine: “Morale: l’abbraccio fa scena, ci fa sentire buoni, conferma che mica stiamo perdendo tempo a vedere quella rappresentazione nella quale tutti si commuovono – e io chi sono per restare con gli occhi asciutti? Del resto è di queste ore l’annuncio della scoperta di una fantascientifica pelle elettronica che presto ci permetterà di abbracciarci a distanza, una misteriosa materia morbida in grado di rilevare la tattilità bidirezionale, addirittura tra più utenti (riecco l’abbraccio di gruppo da finalisti del food show). E’ una creazione del dipartimento d’ingegneria biomedica dell’università di Hong Kong grazie al quale le braccia di Gianni Morandi non cingeranno più solo un pari grado, ma si spingeranno magicamente fino a noi, includendoci nella intimità da abbonamento. La frontiera con la celebrità si assottiglierà ancora di più, arriveremo a palpeggiarla, in attesa che il metaverso ci offra valide alternative valide alla squallida realtà quotidiana”. Possiamo scherzarci, ma suona quasi come una tetra profezia. Ormai mi sono convinto che questi nuovi orizzonti apriranno scenari inquietanti di un modo sempre più smaterializzato. Ha detto lo psichiatra Tonino Cantelmi: “ Siamo sempre più connessi, più informati, più stimolati ma esistenzialmente sempre più soli”. Godiamoci, intanto, gli abbracci in carne ed ossa.