Ci sono argomenti difficili da affrontare. Fra questi – uso non a caso la maiuscola – quello della Morte. Non so esattamente che età avessi, quando ho visto il primo morto. Ero bambino e dovessi dire la verità non ricordo neanche bene chi fosse. Ero con i miei genitori e la cosa mi impressionò non poco a vedere un corpo esposto. Già la giornata dei morti, in quegli stessi anni, mi metteva un certo disagio. La visita alle tombe, compresa quella di famiglia, al cimitero di Aosta mi faceva fare nei giorni successivi brutti sogni. Lì giacevano i nonni paterni (la nonna, Clémentine Roux mancata nel 1945 e nonno René nel 1948) e mio zio Antoine, morto per uno stupido incidente il giorno della Liberazione di Aosta nel 1945. Quando mio papà era quarantenne, ed io ero piccolo mi era venuta la paranoia che potesse morire d’improvviso e certo – essendo poi morto 86enne – non avevo fatto altro che allungargli la vita. Gli anni Settanta poi furono un disastro: mancarono la gran parte dei miei zii di parte paterna e poi poco più avanti i nonni materni (Emilio Timo e Ines Luzietti). Con il passare degli anni, come pezzi mancanti di una scacchiera, mi sono abituato a perdere persone care e tanti amici, ed è un fatto ineluttabile, compreso papà e mamma. Orribile quando ci si deve occupare dei funerali e doverlo fare pressati dai tempi che conseguono alla morte. Incomprensibili sono la morte dei bambini e delle persone giovani e ogni volta ascolto con attenzione le omelie dei preti, che diventato una specie di test di sensibilità ed empatia verso chi piange i propri congiunti. C’è chi ce la fa ad affrontare il dolore, specie chi è soccorso dalla Fede, e chi – altrettanto legittimamente – esprime tutta la sua rabbia per perdite precoci e vuoti incolmabili per sempre. Posso testimoniare di vite davvero spezzate di genitori per una fine anzitempo con molte cose che cambiano in una profondità che diventa come un pozzo senza fondo. Ci pensavo, per l’ennesima volta, di fronte alla morte spietata che ha portato via un giovane insegnante, caduto in biciletta in circostanze banali. Mi riferisco a Victor Vicquéry, giovane walser, che viveva a Saint-Vincent. Lo avevo conosciuto come allievo della Scuola alberghiera, dove aveva scalato i diversi ruoli, sino a vincere il concorso da insegnante. Era un educatore con spirito imprenditoriale nel far capire che alla teoria bisognava far seguire la pratica. Solare con il suo sorriso e sempre attento a fare in modo che la cultura del turismo e dell’accoglienza si esprimesse al meglio. Posso dire che eravamo amici e capitava spesso di parlare dei destini della nostra Valle, che era in grado di seguire con uno spirito critico sempre costruttivo. E se siamo in tanti a ricordarlo e a piangerlo lo si deve proprio alla sua naturale simpatia e a quell’impegno che emergeva nel suo percorso di vita. E’ una morte ingiusta, comunque la si veda e colpiscono non solo la giovane età, ma per le circostanze tragiche avvenute davvero in un batter di ciglia. Chi ha scritto delle pagine straordinarie sulla morte, specie nel declinare della sua vita quando aveva consapevolezza dell’avvicinarsi dell’ultimo giorno, è stato il giornalista e scrittore Tiziano Terzani, che osservava tra l’altro un paradosso, per fortuna meno presente in piccole comunità come le nostre: “Quand’ero ragazzo era un fatto corale. Moriva un vicino di casa e tutti assistevano, aiutavano. La morte veniva mostrata. Si apriva la casa, il morto veniva esposto e ciascuno faceva così la sua conoscenza con la morte. Oggi è il contrario: la morte è un imbarazzo, viene nascosta. Nessuno sa più gestirla. Nessuno sa più cosa fare con un morto. L’esperienza della morte si fa sempre più rara e uno può arrivare alla propria senza mai aver visto quella di un altro”. Invece la Morte va tenuta da conto ed è frutto degli eventi spesso nella loro banale semplicità. Victor resta nei nostri cuori. Come ha scritto argutamente Marcel Proust: “Le persone non muoiono immediatamente, ma rimangono immerse in una sorta di aura di vita che non ha alcuna relazione con la vera immortalità, ma attraverso le quali continuano ad occupare i nostri pensieri nello stesso modo di quando erano vivi”.