Edoardo Bennato, con grande ironia, usava in una celebre canzone l’espressione “Sono solo canzonette”. Nel testo figura, al limite del sarcasmo, quanto riporto: “Non potrò mai diventare/ Direttore generale/ Delle poste o delle ferrovie/ Non potrò mai far carriera/ Nel giornale della sera/ Anche perché finirei in galera/ Mai nessuno mi darà/ Il suo voto per parlare/ O per decidere del suo futuro/ Nella mia categoria/ È tutta gente poco seria/ Di cui non ci si può fidare/ Guarda invece che scienziati/ Che dottori, che avvocati/ Che folla di ministri e deputati/ Pensa che in questo momento/ Proprio mentre io sto cantando/ Stanno seriamente lavorando”. Lo ricordo mentre l’Italia giunge nella settimana canonica del Festival di Sanremo. Un crescendo che ci porterà alla serata finale di sabato con la solita ripetitività che ci accompagna dall’infanzia. Lo posso testimoniare dell’importanza di Sanremo, dove pure mi trovai con un gruppo di colleghi parlamentari a cantare in playback e ne rido ancora oggi. Era il 1995 e un’agenzia stampa così ci descriveva: “Sono 35 i parlamentari del coro per il Festival di Sanremo, che domani sera sara' sul palcoscenico del Teatro Ariston per cantare ''Cosa sara''', brano composto da Alberto Laurenti, Marco Carmassi, Francesco Migliacci, Marco Dane', a scopo benefico. La formazione dei parlamentari, alcuni dei quali eurodeputati, rappresenta tutte le forze politiche presenti alla Camera e al Senato”. Fummo persino applauditi, oggi saremmo sommersi da fischi. La canzone, che ricordo a memoria, per qualche serata in sala d’incisione a Roma faceva così: “Cosa sarà, cosa sarà/ Che fa nascere una canzone/ Cosa sarà, cosa sarà/ Che fa crescere un’illusione/ Se hai visto il cielo abbracciare il mare/ Se conti le stelle ogni notte come me/ Ma la mia stella poi qual è”. Mi fermo per carità di patria, ma mai rinnegare le cose fatte! Quel che da allora è cambiato è l’idea politicamente corretta di aggiungere nella lunga maratona televisiva della Città dei Fiori anche una coloritura politica su temi sociali i più vari per far finta di dimostrare chissà quale impegno. Così nelle ultime edizioni ci siamo sorbiti crescenti predicozzi, quando lo scopo unico della visione è - quanto mi è capitato di fare - ridere con gli amici di cantanti e canzoni. Questa volta era l’occasione per parlare di Ucraina, come già stato fatto in tutto il mondo per serate di vario genere nel mondo dello spettacolo. Doveva spuntare in video Volodymyr Zelens'kyj, Presidente dell'Ucraina, per raccontare gli orrori della guerra e la tragedia del suo Paese aggredito dai russi. Appena resa nota questa presenza i filorussi di diversa specie si sono scatenati. La RAI aveva annunciato la granita scelta di tener duro, poi - da veri conigli mannari- prima l’annuncio di una sorta di censura preventiva sul possibile messaggio e infine sarà Amadeus a leggere un messaggio. Una vera schifezza di cui vergognarsi. Chi ha conosciuto la RAI contemporanea, come il sottoscritto che ci ha lavorato, non si stupisce. Troppi Don Abbondio in posti di responsabilità. Resta un’occasione persa per scuotere la vasta platea sanremese, che ha sicuramente una larga parte di disinformati o di distratti dalla lunga durata della guerra. Un passaggio del leader ucraino sarebbe stato salutare, ma esce fuori il peggio dell’Italietta, che invece ieri si è sorbita - intrisa di retorica patriottarda - un inizio serata con un Roberto Benigni che per l’ennesima volta ha esaltato la Costituzione repubblicana, perlopiù sconosciuta agli italiani. In questa circostanza con il no a Zelens'kyj vale la feroce definizione di Piero Calamandrei: “Il rinvio, simbolo della vita italiana: non fare mai oggi quello che potresti fare domani. Tutti i difetti e forse tutte le virtù del costume italiano si riassumono nella istituzione del rinvio: ripensarci, non compromettersi, rimandare la scelta; tenere il piede in due staffe, il doppio giuoco, il tempo rimedia a tutto, tira a campa’ “.