Con i colleghi di ALCOTRA (acronimo che sta per "Alpi Latine Cooperazione Transfrontaliera"), che comprende Valle d'Aosta, Piemonte, Liguria, AUVERGNE-RHONE-ALPES, Provenza-Alpi-Costa Azzurra, siamo saliti con la Skyway Monte Bianco sino ai 3.466 metri di Punta Helbronner. L’occasione era il lancio del nuovo periodo di programmazione di Interreg Italia-Francia, che ci porterà sino alle porte del 2030. Al Pavillon, con Arpa Valle d’Aosta e Fondazione Montagna sicura, abbiamo parlato di cambiamento climatico e nessun posto poteva essere migliore di un luogo simbolico a carattere europeo. Proprio alla vigilia avevo letto su Internazionale quanto scritto da Elizabeth Kolbert sotto la voce “Narrazioni”. Eccolo: “Le narrazioni sono ‘storie’ socialmente costruite che danno un senso agli eventi”, fornendo così “una direzione all’azione umana”, osserva un articolo pubblicato di recente sulla rivista Climatic Change da un gruppo di ricercatori europei. Le narrazioni sul cambiamento climatico, scrivono i ricercatori, di solito “vedono tutto nero”. Spesso enfatizzano i pericoli. Quando non descrivono gli ultimi disastri (incendi, alluvioni, carestie), ne annunciano di ancora più gravi (incendi più grandi, alluvioni più estese, carestie che minacciano intere regioni). Questo approccio, sostengono i ricercatori, può essere controproducente: “Le narrazioni della paura possono diventare profezie che si autoavverano”. Se le persone credono che le cose possono solo peggiorare, si sentono sopraffatte. Se si sentono sopraffatte, tendono ad arrendersi, garantendo così che le cose andranno sempre peggio. Una dieta a base di cattive notizie porta alla paralisi, che produce altre cattive notizie”. Parole importanti e condivisibili per i padrini del catastrofismo, che è ben diverso da chi informa della oggettiva drammaticità ma usa toni che finiscono per nuocere. Ancora l’articolo nel suo equilibrio: “Quello che serve, invece, sono narrazioni che “diano alle persone la possibilità di agire”. Queste narrazioni dovrebbero proporre una “storia positiva e coinvolgente”, indicare “dove si vuol andare” e descrivere i passi per arrivare a questa destinazione metaforica. Anche le storie positive possono autoavverarsi. Le persone che credono in un futuro migliore sono più propense a impegnarsi per raggiungerlo. Quando si impegnano, fanno scoperte che accelerano il progresso. Lungo il percorso, costruiscono comunità che rendono possibile un cambiamento positivo. “L’ottimismo è una scelta”, sostiene Christiana Figueres, la diplomatica costaricana che ha guidato gli sforzi per far approvare l’accordo sul clima di Parigi. “Conoscete qualche sfida che l’umanità abbia affrontato con successo e che sia cominciata con pessimismo o disfattismo?”, si è chiesta Figueres in una conferenza di qualche anno fa. “Non ce n’è una”, ha detto, rispondendo alla sua stessa domanda”. Applausi in favore di una informazione seria e di impegni fissati e non demagogici nel segno della sussidiarietà: ognuno può fare del suo nella sua famiglia e nella sua comunità, poi si sale la scala dal locale al regionale, dal nazionale all’europeo fino al globale. Livelli senza i quali opportunamente coordinati non si rema nella stessa direzione.