Parlavo l’altro giorno con Arno Kompatscher, Presidente del SüdTirol, di questa storia dell’autonomia differenziata e concordavamo sul fatto che da troppo tempo se ne attende l’applicazione e che la novità potrebbe permettere anche alle Speciali qualche nuovo spazio politico e amministrativo.
Per capirci ricordo anzitutto i contorni di questa autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario. Si tratta di una potestà riconosciuta dall'articolo 116 della Costituzione dopo la modifica avvenuta con la riforma costituzionale del Titolo V approvata nel 2001. All’epoca mi occupai attivamente di questa riforma come membro della Commissione Affari Costituzionali della Camera e seguii anche questa novità.
Così recita l’articolo 116 della Costituzione, al terzo comma prevede: "Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell'articolo 117 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere l), limitatamente all'organizzazione della giustizia di pace, n) e s), possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei princìpi di cui all'articolo 119. La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata".
Per capire meglio ricordo che l’ambito delle materie nelle quali possono essere riconosciute tali forme ulteriori di autonomia concernono: tutte le materie che l'art. 117, terzo comma, attribuisce alla competenza legislativa concorrente. Tali materie sono: rapporti internazionali e con l'Unione europea delle Regioni; commercio con l'estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia; previdenza complementare e integrativa; coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale.
Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato”.
La richiesta di maggiore autonomia è stata avanzata da nove regioni (Lombardia, veneto, Emilia-Romagna, Piemonte, Liguria, Toscana, Marche, Umbria e Campania), in due si è svolto un referendum nel 2017 che ha confermato la richiesta (Lombardia e Veneto) e oltre a queste ultime anche con Emilia-Romagna e Piemonte si è giunti alla fase di intese tra rispettive Regioni e governo.
La riforma si è impantanata da anni e in queste settimane, con totale miopia, alcuni Presidenti delle Regioni del Sud hanno chiesto di lasciar perdere.
Su Formiche Giovanni Guzzetta, costituzionalista di grande competenza e vecchio amico, critica questa scelta, cominciando dal Presidente della Campania: “Un esempio delle distorsioni di una discussione che merita invece ben altra compostezza e serietà emerge dalla polemica del presidente De Luca con il ministro Calderoli, titolare del dicastero competente. De Luca, peraltro in buona compagnia con altri (non tutti) governatori di regioni del Sud, ritiene nelle proprie dichiarazioni che, intorno al tema dell’autonomia, si voglia consumare una spaccatura del paese a tutto vantaggio delle regioni del Nord, aumentando ulteriormente diseguaglianze purtroppo conclamate”.
L’affitto successivo crea curiosità:
“Il paradosso è che, se, invece, si abbandona il terreno della polemica e delle dichiarazioni, e si guarda ai fatti, si scopre che lo stesso De Luca, nel 2019, trasmetteva al governo, nella persona del Presidente Conte, una proposta di avvio di un negoziato per il conferimento di autonomia differenziata alla Campania. La notizia non è solo rilevante in sé, ma anche per il contenuto di quella proposta, soprattutto su due particolari profili intorno ai quali più accesa è la polemica. Il primo è quello delle materie da conferire. Nella proposta della Campania compaiono anche, ad esempio, istruzione e sanità, quelle su cui più accesi sono i toni dello scontro.
Il secondo profilo riguarda il tema della copertura finanziaria dei trasferimenti di competenza. Il discorso, molto tecnico, va, in questa sede necessariamente semplificato. In sostanza nella polemica pubblica ciò che più accende gli animi è il sospetto che tali coperture siano fatte sulla base della c.d. “spesa storica” che, a legislazione vigente, lo Stato attua per finanziare le funzioni che andrebbero, in prospettiva, trasferite alle Regioni. Il criterio della spesa storica, dice De Luca e con lui altri oppositori dell’autonomia differenziata, danneggerebbe le regioni del Sud a tutto vantaggio di quelle del Nord. Il punto è che nessuna proposta del governo, attuale o passato, ha mai ritenuto che, a regime, questo dovesse essere il criterio di calcolo, immaginando semmai un’applicazione in via transitoria in attesa dei nuovi criteri elaborati nell’ambito delle riforme del federalismo fiscale previsto dall’art. 119 Costituzione (altro capitolo nel quale l’inattuazione della Costituzione dura ormai da decenni)
Ebbene, la notizia è che anche la proposta di intesa avanzata dalla Campania proponeva, per accelerare il processo, che, sempre in via transitoria, potesse applicarsi il criterio della spesa “a legislazione vigente”, cioè la spesa storica”
Insomma: una figuraccia quella di De Luca!
Chiude Guzzetta: “Insomma ci troviamo di fronte a un caso esemplare di come si sviluppano molti dibattiti politici in Italia. La retorica delle contrapposizioni e il frontismo ideologico non ha nulla a che vedere con le questioni reali di cui si dovrebbe discutere. Una democrazia delle parole, che danneggia spesso irrreparabilmente la democrazia delle decisioni.
Alimentare questo tipo di scontro, così distorsivo e ideologico, non è bene per la vita delle istituzioni e per la serenità dei cittadini. Genera allarme, accende gli animi e rischia di alimentare bolle di conflittuali sociali, prive di una vera sostanza, ma drammaticamente incendiarie”.
E aggiunge in coda: “Quanto detto non significa ovviamente che le soluzioni siano semplici e che basti uno schioccar di dita per realizzare questo capitolo del nostro travagliato regionalismo. Ma l’opzione zero del sabotaggio della Costituzione e della sua inattuazione non può essere la soluzione per nessuno.
Tanto più che l’impostazione ideologica dello scontro finisce inevitabilmente per oscurare il dato che il Sud di questo paese non è una palla al piede da sopportare in nome dell’unità, ma un’area nella quale i margini di crescita e le potenzialità di sviluppo sono un’opportunità enorme, i cui margini di realizzazione sono direttamente proporzionali all’ampiezza del gap che la separa dal resto del paese.
Una politica autenticamente meridionalista non può mai attestarsi sulla difesa dello status quo. Anche perché lo status quo umilia già abbondantemente la condizione dei cittadini comuni che vivono e vogliono continuare a vivere in quei territori”.
Il caso del PNRR, che ha riversato somme enormi prevalentemente al Sud con problemi di spesa enormi, dimostrerà che le polemiche contro il Nord servono a certi Presidenti “Masaniello” come strumento elettoralistico.