Viviamo tempi difficili ed è bene dirselo senza filtri. Questo non vuol dire demordere o lasciarsi andare ad ansie o ad angosce, che aggiungono solo un peso. La reattività - oggi si straparla di "resilienza" - deriva proprio dalla consapevolezza e non dal far finta di niente. Per altro saranno i libri di Storia un giorno a rendere conto ex post, a bocce ferme e con la ponderatezza necessaria, delle difficoltà che ci stanno investendo e che nessuno aveva previsto con anticipo. Penso che tutti quelli con la testa sul collo abbiano perfetta consapevolezza del quadro generale in continuo movimento e ci siano momenti in cui sentiamo tutti - ciascuno con i suoi problemi e le proprie responsabilità piccole o grandi - preoccupazione per noi e per i nostri cari. Per affrontare certe situazioni conta moltissimo essere sinceri nel descrivere il quadro attuale e le prospettive sin dove si riesce ad arrivare credibilmente a prevederle. Già in condizioni normali le pianificazioni non sono per nulla semplici, figurarsi in situazioni come quelle che viviamo. Luigi Pirandello ha scritto a ragione: «Nulla è più complicato della sincerità», specie in politica.
Aldo Moro, che resta uno che è morto in modo brutale vittima di chi viveva nell'errore, scrisse: «Quando si dice la verità non bisogna dolersi di averla detta. La verità è sempre illuminante. Ci aiuta ad essere coraggiosi». Già, il coraggio. Non è cosa di poco conto. So quanto sia difficile evocarlo, quando c'è chi in Ucraina rischia la pelle per difendere il proprio Paese, ma anche noi - al riparo da certi orrori - dobbiamo evitare di andare a rotoli in una situazione aggrovigliata. Per capirci e senza drammatizzazioni, ma pure senza indorare la pillola. La pandemia è stata e potrebbe essere ancora un disastro per la vita di tutti proporzionalmente con le condizioni di ciascuno e a seconda di eventi e destini personali e familiari. La guerra lo è con il suo cumulo di conseguenze in corso e mancano ancora certezze e questo crea - scusate la banalità! - incertezze che ci fanno muovere a tentoni. L'Autonomia valdostana, che resta una necessità per il futuro della nostra comunità, fa sì che quando le cose vanno male e sale la febbre della preoccupazione per via di difficoltà economiche e sociali si guardi alla nostra Regione e alle sue istituzioni incarnate da eletti pro tempore. Bene che ciò avvenga, perché è il cemento dello stare assieme e nasce dalla consapevolezza che in primis le emergenze vanno affrontate da noi stessi con le nostre capacità di contrastarle. Ma qui spunta la necessità di essere franchi e di dire che ci sono problemi - penso alle conseguenze della crisi energetica poliforme - di cui è indispensabile capire il perimetro in cui muoversi e che cosa sia alla nostra portata. Le cifre in ballo complessive fra coda epidemica e conseguenze dello stato di guerra e i suoi riverberi sono cospicue e prevedono che, in un logica di sussidiarietà, ci siano interventi vari. Laddove la Regione non è grado di fare per ragioni finanziarie e di suoi poteri limitati deve essere lo Stato - il Governo e il Parlamento - a fare la propria parte per fare quanto di proprio dovere. Lo stesso vale, salendo ancora più in su, all'Unione europea e alle sue Istituzioni, quando le necessità sono così grandi da prevedere - come con il "Pnrr" - dimensioni più vaste per questioni di portata globale. Senza questa sinergia nessuno è in grado di coordinare interventi efficaci in queste crisi che si incrociano e che fanno male nel piccolo e nel grande, colpendo - come sempre capita - per primo chi finisce più in fretta in difficoltà. Resta la necessità di avere in fasi delicate per la Valle d'Aosta un senso di solidarietà e la politica dovrebbe volare alto con soluzioni concordate, al di là di divisioni e ambizioni che perpetuino instabilità che in questa fase può solo peggiorare le cose. Facile a dirsi, non facile a farsi.