Non ricordo bene la prima volta che entrai nelle stabilimento "Cogne" di Aosta. Direi che avvenne una quarantina di anni fa come giornalista. Mi trovai negli anni successivi prima ancora come giornalista e poi come deputato a seguire le vicende che portarono - in coda ad una Via crucis per tutto l'acciaio di Stato - alla cessione della fabbrica dalla "Partecipazioni statali" alla famiglia svizzera dei Marzorati. Il settore pubblico in questa industria pur strategica era ormai alla frutta e senza quel passaggio verso il mercato tutto, anche ad Aosta, sarebbe andato a catafascio. Un ruolo essenziale lo ebbe Romano Prodi, all'epoca dell'inizio delle trattative al vertice dell'"IRI", che comprese la posta in gioco ed agevolò l'operazione che non solo evitò il peggio, ma i cui frutti oggi sono ben visibili con la presenza di questa società siderurgica il cui cuore resta in mezzo alle Alpi. E da Aosta esporta in gran parte del mondo acciai di grande pregio ed occupa oltre mille persone, cui si somma un importante indotto.
Certo la fabbrica, una città al lato della città, ha oggi la metà dello spazio di un tempo per logiche di razionalizzazione e non esiste più quel sistema da diecimila dipendenti che comprendeva il ferro estratto nelle miniere di Cogne e il carbone di quelle di La Thuile. Ma la "Cogne" resta un caposaldo dell'economia industriale valdostana, in molti altri siti storici scomparsa. Ed è il caso - solo per fare un esempio - dell'altro polo siderurgico, quello del gruppo "Orlando" a Pont-Saint-Martin, di cui non esiste neppure più traccia fisica alle porte della Valle. Ho visitato in queste ore la "Cogne" in quella logica "porte aperte", che considero molto giusta e che mira a saldare i legami con la comunità ed a evitare quella separatezza che ha nuociuto allo stabilimento, che risultava quasi come un corpo estraneo. Così non era non era in un passato ormai lontano, quando la "Cogne" incarnava davvero la città di Aosta e dintorni dalla nascita alla tomba per molti lavoratori in quasi tutte le famiglie anche in periodi grami come quello bellici. Questo per dire dell'importanza della sua presenza e mi domando come sia possibile che, in un passato neppure troppo lontano, qualche politico uso ad abbaiare contro gli altri ne avesse chiesta la chiusura, senza alcuna logica se non l'esibizione della propria mediocrità. Avere il quadro esatto del posizionamento della "Cogne", del denaro speso e delle prospettive future offre elementi importanti di riflessione in una fabbrica oggi pulita e ordinata, proiettata con investimenti cospicui per reggere una concorrenza feroce verso nuove sfide come l'aerospaziale. Ma questo avviene, per chi voglia coglierlo, nel quadro di una tradizione, che ad esempio è stata ricostruita nel nuovo e attrattivo museo minerario di Cogne, dove si capiscono le radici antiche della siderurgia e di quella Valle d'Aosta che per particolari condizioni geologiche ha avuto storie di sfruttamento di diversi minerali con miniere che vanno ricordate e valorizzate anche ad uso turistico. Ho portato con me nel giro attraverso la "Cogne" anche il piccolo Alexis ed altrettanto faranno le scolaresche valdostane in una logica di apertura e di istruzione. E' stato facile nel mio caso ricordare i tre fratelli di suo nonno: Mario, che era chimico e controllava la qualità dei prodotti; Emilio - mio padrino di battesimo - che era ingegnere nel cuore della produzione e si portò dietro problemi polmonari; Antonio - che morì per un destino avverso il giorno della Liberazione di Aosta - che era il capo dell'antifascismo alla "Cogne" e che non so cosa facesse in fabbrica ed ho chiesto proprio in questa occasione di avere la sua scheda sicuramente presente nei ricchi archivi aziendali. Mi ha molto colpito, nelle spiegazioni tecniche avute nel corso del viaggio dentro la "Cogne" nei diversi reparti, incontrare i rispettivi responsabili, che mostrano intatta la passione per il loro lavoro e la voglia di raccontarlo. Esattamente la stessa impressione avuta, nella parte iniziale della visita, con il mio quasi coetaneo Eugenio Marzorati, con il fratello Roberto figli d'arte (la siderurgia è arte e tecnologia) di quel Giuseppe che scelse di comprare la "Cogne" nel 1994 e che sa disegnare l'avvenire con competenza e convinzione. Oggi, a tanti anni di distanza, la scelta di privatizzare si è dimostrata giusta e si guarda al futuro con attenzione all'ambiente e al mercato. Non è cosa da poco in un periodo depressivo come l'attuale.
Questa l'immagine che ho realizzato mentre mi hanno fotografato (cliccate per ingrandire):