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22 mar 2022

Io maccartista?

di Luciano Caveri

E' abbastanza triste che attorno a questa guerra sporca, brutta e cattiva, in cui appare evidente da che parte stare, ci siano coloro che si attardino - probabilmente per il molto tempo libero - a giocare con le parole e talvolta si sa anche che è come giocare sul fuoco. Mi dicono ad esempio che, essendo io chiaramente schierato per qualunque cosa che possa danneggiare la Russia, c'è chi ha scritto che io sarei "maccartista". Ora, avendo ben studiato la storia degli Stati Uniti, so bene che cosa sia stato il "maccartismo" e capisco che il suo uso distorcente in questa fase è solo da pappagallo ripetente. Facciamo ordine.

Questa la definizione da "Treccani" del "maccartismo": "Atteggiamento politico che ebbe diffusione negli Stati Uniti d'America tra la fine degli anni Quaranta del Novecento e la metà degli anni Cinquanta, caratterizzato da un esasperato clima di sospetto e da comportamenti persecutori nei confronti di persone, gruppi e comportamenti ritenuti sovversivi. Fu così chiamato dal nome del senatore Joseph Raymond McCarthy, che diresse una commissione per la repressione delle attività antiamericane, sottoponendo a vigilanza centinaia di persone e operando attacchi personali (per mezzo di accuse in genere non provate) nei confronti di funzionari governativi, uomini di spettacolo e di cultura eccetera, da lui considerati comunisti e, in quanto tali, responsabili di minare i fondamenti politici e ideologici della società americana". Ora io non ho mai partecipato in vita mia a nessuna "caccia alle streghe" - così è stata sempre riassunta la brutalità e la stupidità del "maccartismo" - e chi gioca con riferimenti offensivi rischia una bella querela, perché va bene la propaganda politica, anche accesa, ma gli insulti sono altra cosa. Perché si riesuma fuori dal giusto contesto il "maccartismo" con un uso grottesco del termine? Credo che il primo ad usarlo sia stato quel personaggio che è Giuseppe Conte, leader dei grillini in discesa, quando disse: «Viene attaccata la cultura russa, c'è un atteggiamento di "maccartisimo", vengono attaccati Dostoevskij, Tolstoj, è come mettere al bando Dante, Petrarca e Boccaccio. Distinguiamo, la cultura russa è patrimonio di tutti». Il tema è stato ripreso in senso più vasto dai filorussi di varia specie dalla sinistra estrema alla destra più cupa con qualche "grillino" sopravvissuto e pure con qualche leghista che ricorda forse le simpatie "putiniane" del Capo e certe amicizie moscovite del suo entourage. Mai personalmente potrei essere considerato così imbecille da bollare la cultura russa come da rogo: sarebbe un'assurda semplificazione! Ma oggi ogni forma di chiusura e di embargo è giusta è legittima. I russi devono percepire - qualunque sia la loro attività - che il resto del mondo condanna un'azione violenta e proditoria del loro leader che purtroppo non ha avuto in Russia nessuna critica corale, se non il coraggio di pochi oppositori. Questa chiusura che mira ad un isolamento e l'allegata condanna morale (che è il minimo sindacale) serve ai russi per avere consapevolezza della gravità dei fatti di questa guerra di conquista ingiustificabile senza "se" e senza "ma". Semmai è "collaborazionista" chi minimizza, propone distinguo, costruisce alibi pro-russi, attaccando chi ha fatto scelte cristalline, perché la condanna dev'essere ferma. Con questi avvenimenti non si scherza ed usare la discussione per piccoli regolamenti di conti mette solo un'indicibile tristezza.