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07 mar 2022

La grande siccità

di Luciano Caveri

Certamente è un fatto eccezionale questo inverno senza neve e senza piogge. Erano decenni che non si registrava una situazione simile. Vediamo la Dora Baltea, il fiume dei valdostani così bello quando gonfio d'acqua, oggi tristemente vuoto ed il Po in cui confluisce è stato definito «il Gigante senz'acqua» in un'inchiesta de "La Stampa" del bravo Niccolò Zancan, le cui ultime frasi disegnano il contesto: «"Quest'anno è stato l'ennesimo anno anomalo. Sia per le precipitazioni, sia per le temperature. L'inverno più caldo degli ultimi sessant'anni". Stefano Fenoglio è un professore dell'Università di Torino specializzato nello studio dei fiumi di montagna, vive su quelle montagne che originano il grande fiume: "Non piove dall'Immacolata. Da tre mesi non abbiamo precipitazioni significative. A dicembre la temperatura è stata di un grado superiore alla media, quasi due gradi a gennaio. Tutto questo si traduce nel fatto che la neve è evaporata. I versanti delle montagne esposti a sud sono brulli, sembrano montagne afghane. E a Pian del Re, dove nasce il Po, la sorgente si è spostata di cento metri a valle per trovare la forza". Così cambia la geografia, e così cambiano i destini delle persone. Quando cambia il clima».

In queste ore ho visto un altro gigante, il Piave, dall'altra parte delle Alpi diventare un serpente di pietre e ghiaia, come agonizzante. La natura alpina, secca e spoglia dai colori del brullo di un autunno infinito e la rinascita primaverile attesa da sotto le cime alle pianure che si abbeverano non sarà facile per via della siccità. Vien da dire: ci voleva anche questa, campanello d'allarme di una Natura che snatura, con la complicità umana nel riscaldamento globale, anche il corso regolare delle stagioni e dei mesi, come da sempre descritti. Questa storia dell'acqua, senza cadere nei catastrofismi che non aiutano mai, va affrontata con forza e determinazione, al di là di un anno da dimenticare. Già c'era la pandemia, cui si è sommata la guerra e ora questa aridità che incombe, dando al persistente bel tempo la dimensione di una beffa. Mancano le locuste e gli alieni invasori e possiamo chiudere il sipario. Sull'acqua si ragiona in realtà da tempo e ricordo come anche vent'anni fa fu al centro di profonde riflessioni durante l'Anno internazionale delle Montagne e poi in quelli successivi, quando attorno al cambiamento climatico è cresciuta la consapevolezza e si è diffusa una coscienza sulla necessità di essere pronti ad arginarne le conseguenze. Da una parte ci sono responsabilità a livello mondiale su cui i grandi summit internazionali non hanno avuto sempre l'efficacia necessaria con le risposte dovute e dall'altra esiste invece un'azione locale. Nel caso alpino questo vorrebbe dire maggior interazione, scelte condivise fra le Regioni dell'Arco alpino, che hanno in "Eusalp" uno strumento interessante ma per ora sottoutilizzato e me ne dolgo, avendo lavorato in Europa per la sua nascita. Ne ricordo i contorni: la Strategia macroregionale Alpina ("EU strategy for the Alpine region") è un accordo siglato nel 2013 dai Paesi che fanno parte dell'Unione Europea: Italia, Francia, Germania, Austria, Slovenia e da due stati extra europei Svizzera e Liechtenstein; ne fanno parte le 48 Regioni e Province autonome. Questo dovrebbe essere un tavolo privilegiato per capire cosa fare per ottimizzare l'uso plurimo dell'acqua, affrontandone le diverse problematiche e soprattutto anticipando le conseguenze dei cambiamenti in corso. Il caso che è diventato emblematico è lo scioglimento dei ghiacciai, ma ci sono altre questioni, come le strutture acquedottistici o i bacini in quota per costituire le riserve necessarie. Il tema è serio e solo politiche e pianificazioni possono consentire di non lasciare un'eredità disastrosa alle future generazioni.