Che bello ogni tanto astrarsi dalla realtà quotidiana, che sembra irta di cose da risolvere e problemi da affrontare. Certo, facendo politica, che spesso diventa solo amministrazione e dunque meno affascinante dei grandi disegni, questo è quanto bisogna affrontare in tempo di crisi e di incertezze. Capita dunque di guardarsi dentro, di frugare nel passato e di osservare le cose con una certa nostalgia, che non è però maligna, ma benefica. Per definire la nostalgia bisogna affermare un pensiero poetico di José Saramago, che suona così: «La nostalgia è un luogo mobile che appare e scompare sulle carte della fantasia ma sta ben saldo nel cuore di ognuno di noi». Ebbene, io quest'anno ho una terribile nostalgia dell'inverno e di quegli inverni che ho vissuto, fatti di freddo e soprattutto - nato e vissuto in Valle d'Aosta come non ricordare - della neve, che oggi vorrei celebrare, sapendo la mia fortuna di averla vista abbondante ed invasiva in molti anni della mia vita.
Il caso vuole che abiti oggi in una via dedicata ad un poeta di Saint-Vincent, André Ferré, uomo dalla vita avventurosa, che così descrive in patois l'intimità della nevicata: «Lo bon foà y avie d'un lo fornet qui rounne Fourra la nei a tsìt tot pian sensa tapadzo Su lè bôch e lè mont, su le prà s'amontounne Com'un bé linchoul bianc dessù lè veulladzo». (Azzardo in italiano: «Un bel fuoco brilla nella stufa che vibra / Fuori la neve cade lentamente senza rumore / Sui boschi e sulle montagne, sui prati si accumula / come un bel lenzuolo bianco sul villaggio»). Umberto Saba, intitolata "Neve": «Neve che turbini in alto e avvolgi le cose di un tacito manto. Neve che cadi dall'alto e noi copri coprici ancora, all'infinito: imbianca la città con le case, con le chiese, il porto con le navi, le distese dei prati...». Oppure c'è questa poesia "Era lei, la neve" di Eugenij Entuscenko: «E un mattino appena alzati, pieni di sonno ignari ancora, d'improvviso aperta la porta, meravigliati la calpestammo: Posava, alta e pulita in tutta la sua tenera semplicità. Era timidamente festosa era fittissimamente di sé sicura. Giacque in terra sui tetti e stupì tutti con la sua bianchezza». Traggo da "Neige" di Maxence Fermine: «La neige est un poème. Un poème qui tombe des nuages en flocons blancs et légers. Ce poème vient de la bouche du ciel, de la main de Dieu. Il porte un nom. Un nom d'une blancheur éclatante. Neige». Ma c'è nello stesso romanzo breve un passaggio valido per chi si lamenti della neve: «Lorsqu'il en parla à son père, ce dernier n'y vit que des aspects négatifs, comme si la passion si étrange de son fils pour la neige lui avait rendu la saison hi encore plus terrifiante. Elle est blanche. C'est donc qu'elle est invisible et ne mérite pas d'être. Elle fige la nature et la protège. L'orgueilleuse, qui est-elle pour prétendre statufier le monde? Elle se transforme continuellement. C'est donc qu'elle n'est pas fiable. Elle est une surface glissante. Qui donc peut prendre plaisir à glisser sur la neige? Elle se change en eau. C'est pour mieux nous inonder à la période de la fonte». Già, non solo scena ma sostanza, quella dell'inverno. Mi sento, nella nostalgia, come Dino Buzzati: «Vorrei che tu venissi da me in una sera d'inverno e, stretti assieme dietro i vetri, guardando la solitudine delle strade buie e gelate, ricordassimo gli inverni delle favole, dove si visse insieme senza saperlo». Ricordo le volte in cui, per via di nevicate epocali, venni bloccato a casa e furono giornate rubate agli impegni dì quell'ozio con cui ci rassegna con piacere. L'inverno era anche questo. Lo ricorda, naturalmente in grande, Gesualdo Bufalino: «"Exercitum in hiberna deduxit, condusse le truppe nei quartieri d'inverno"... Così Cesare termina ciascuno dei commenti gallici. E' probabile che aspettasse questi giorni d'ozio e quella luce di neve per dettare le sue gesta a uno scriba. Altrettanto dovrebbe ciascuno di noi, serbando all'azione le rimanenti stagioni».