Al mattino, come sa chi mi conosce, mi sveglio molto presto e resto buonino buonino nel letto a leggere on line i giornali freschi "di stampa" (sul digitale non so come si possa dire...). Malgrado i mille media che ci bombardano, resto convinto che la lettura del "quotidiano" sia una necessità dello spirito, una prima ginnastica mentale per aprire la giornata o per restare in ambito devozionale quella «preghiera dell'uomo laico», come la definiva Friedrich Hegel. Spesso si scova qualcosa di interessante, ma nascosto. Ad esempio ad un articolo di Lorenzo Boratto sulla pagina dì Cuneo de "La Stampa", che serve come esempio generale.
Ecco l'inizio: "Da 15 anni una frase apocrifa di Italo Calvino rimbalza tra web e mondo reale. Lo fa con una costanza tale da essere finita anche nell'ultima serata del Festival di Sanremo: citata - erroneamente - dall'attrice Sabrina Ferilli in un monologo molto pop: «Prendete la vita con leggerezza. Che leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall'alto, non avere macigni sul cuore». Peccato che la citazione non sia di Calvino, ma della professoressa cuneese Mattea Rolfo, 42 anni, che insegna in una scuola superiore di Torino. E non è tratta, come credono in troppi, da uno dei libri più citati e meno letti dell'autore (nato a Cuba, ma cresciuto proprio a Sanremo): le "Lezioni americane" pubblicate postume. La vera autrice della frase, diventata famosa suo malgrado (e che è anche autrice del romanzo "Palindromi"), dice: «Ho studiato Calvino mentre preparavo il concorso in Francia, per insegnare italiano in quel Paese. E' un autore di cui sono appassionata. La frase l'avevo scritta sul mio blog personale, "Spigoblog", a settembre 2007: quel giorno avevo visto una girandola, avevo ripreso il testo di Calvino nell'edizione "Oscar Mondadori" e pensavo al prendere la vita con leggerezza. Ma non c'era una frase sintetica da riportare dal libro, così parlando di lui ne ho scritta una io, senza virgolette ovviamente»". Come mai ne parlo? Perché mi aveva interessato e talvolta divertito il fatto che molto spesso usiamo citazioni fasulle o sbagliate. Cominciamo con una battuta: «Dio è morto, Marx pure, e anche io non mi sento molto bene» attribuita a Woody Allen. In realtà - spiega "Wikiquote" - l'autore originale della citazione risulta essere Eugène Ionesco. Altro classico errato: «Elementare, Watson!» di Sherlock Holmes. Ebbene "Sherlock Holmes non ha mai pronunciato questa frase, Arthur Conan Doyle non l'ha mai scritta. Tuttavia in una pagina de "Il caso dell'uomo deforme" c'è uno scambio di battute che potrebbe aver generato la leggenda: Watson, dopo aver ascoltato una delle proverbiali deduzioni di Holmes, dice: «Semplice!». E Holmes risponde: «Elementare!»". Ancora più serio: «Fatta l'Italia, bisogna fare gli italiani». Spiegazione: "La frase viene spesso attribuita a Massimo D'Azeglio in diverse forme. In realtà essa rappresenta una sintesi non completamente fedele di un pensiero espresso dallo stesso D'Azeglio ne "I miei ricordi" (1867): «il primo bisogno d'Italia è che si formino Italiani dotati d'alti e forti caratteri. E pur troppo si va ogni giorno più verso il polo opposto: pur troppo s'è fatta l'Italia, ma non si fanno gl'Italiani». Molte fonti riportano che il primo a citare la frase di D'Azeglio in questa forma fosse stato Ferdinando Martini nel 1896 e per questo motivo qualcuno arriva ad attribuire questa versione della frase allo stesso Martini. In realtà le prime attribuzioni a D'Azeglio di questa versione (o comunque di versioni molto simili) della frase risalgono a ben prima del 1896: "Rivista sicula di scienze, letteratura ed arti" (1870), conferenze di Francesco De Sanctis a Napoli (1872-1873), "L'Italia vivente" di Leone Carpi (1878). Ne deriva che l'attribuzione a Martini è indubbiamente erronea". Ancora una frase adatta per le Olimpiadi in corso a Pechino: «L'importante non è vincere, ma partecipare» che sarebbe di Pierre De Coubertin. Così si ricostruisce: "La citazione tradizionalmente attribuita a De Coubertin, appartiene in realtà ad un vescovo della Pennsylvania, Ethelbert Talbot. Lo stesso De Coubertin, quando la pronunciò, ne citò la fonte: la predica del vescovo durante le Olimpiadi del 1908". Infine: «Non sono d'accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo» di Voltaire. L'ultimo chiarimento: "Tale citazione viene solitamente attribuita, anche in altre formulazioni, al filosofo e scrittore francese, ma trova in realtà riscontro soltanto in un testo di Evelyn Beatrice Hall, saggista conosciuta anche con lo pseudonimo di Stephen G. Tallentyre, precisamente in una biografia del filosofo del 1906: "The Friends of Voltaire" ("Gli amici di Voltaire"). La citazione così formulata non ha riscontro in alcuna opera di Voltaire, tuttavia secondo alcuni autori la frase sarebbe stata estrapolata dal "Trattato della tolleranza" del 1763 e rappresenterebbe realmente una citazione dello scrittore francese. In tale Trattato infatti si trovano alcune frasi simili. Inoltre esiste anche un'altra frase di Voltaire piuttosto simile che potrebbe aver ispirato l'aforisma: «Mi piaceva l'autore de L'Esprit [Helvétius]. Quest'uomo era meglio di tutti i suoi nemici messi assieme; ma non ho mai approvato né gli errori del suo libro, né le verità banali che afferma con enfasi. Però ho preso fortemente le sue difese, quando uomini assurdi lo hanno condannato». (da "Questioni sull'Enciclopedia")". Insomma: quando si cita bisogna fare attenzione!