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14 feb 2022

Il peso dei «si dice»

di Luciano Caveri

Gli attacchi personali in politica ci sono sempre stati e non bisogna stupirsene. Ho attraversato molte volte terreni volutamente minati da chi si diverte con il genere e non ho mai perso la tranquillità e la fiducia. Fa parte delle regole del gioco. Ritengo tuttavia che ci debbano essere dei limiti e quando si superano si entra nello spazio della barbarie. Il diritto di critica ci sta, ma l'insinuazione o gli insulti sono ben altra cosa. A naso, infatti, la situazione è peggiorata e certo populismo ci ha sguazzato ben bene, rilasciando un veleno in politica che paralizza quei rapporti umani che sono a fondamento della civile convivenza. Così non solo le invettive colpiscono il politico da abbattere, ma si estendono talvolta persino ai parenti, venendo meno certo galateo istituzionale che prevedeva dei confini di buon senso e direi di educazione e rispetto reciproci.

Ma ormai si è in perenne campagna elettorale e dunque bisogna usare l'arma della polemica in modo violento e persino ossessivo: senza pietà e senza controllo delle fonti si agisce nel campo minato dei «si dice», che sono spesso delazioni gratuite e velenose che feriscono gratuitamente chi le subisce. "Il barbiere di Siviglia" è un'opera in due atti di Gioachino Rossini su libretto di Cesare Sterbini, tratto dalla commedia omonima di Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais. E' lì che figura il famoso "venticello": «Un'auretta assai gentile che insensibile, sottile, leggermente, dolcemente incomincia a sussurrare» e così si diffondono - nel noto motivo - sino al possibile esito tragico «E il meschino calunniato, avvilito, calpestato, sotto il pubblico flagello per gran sorte ha crepar». In francese si dice: «Calomniez, calomniez, il en restera toujours quelque chose». Era Charlie Chaplin che chiosava così e trovo che ci si dovrebbe attenere: «Ti criticheranno sempre, parleranno male di te e sarà difficile che incontri qualcuno al quale tu possa andare bene come sei. Quindi: vivi come credi. Fai cosa ti dice il cuore: ciò che vuoi». L'appello di quella maschera comica piena di verità amare, che fu il creatore del grande "Charlot", è in fondo quello di sbattersene di certe storie, anche se nella malevolenza c'è non sempre la leggerezza della stupidità o della battuta che diventa un tam tam destinato a disperdersi, perché la cosa si fa purtroppo seria in certe circostanze, se il veleno supera livelli di guardia. Jean-Baptiste Rousseau, poeta francese seicentesco, così diceva in una sua poesiola: «Messieurs, disait un fameux délateur Aux courtisans de Philippe, son maître: Quelque grossier qu'un mensonge puisse être, Ne craignez rien, calomniez toujours. Quand l'accusé confondrait vos discours, La plaie est faite; et, quoiqu'il en guérisse, On en verra du moins la cicatrice». Già certe cicatrici restano, e rendono tutta la delusione verso chi sceglie la strada di ferire con attacchi personali, anche quando non ce n'è ragione. L'agorà politica non è il cortile di un asilo dove le scaramucce vengono rimosse in poco tempo. Se si colpisce per calunniare, ferire immotivatamente o denigrare per puro divertissement diventa difficile umanamente pensare che la politica consenta di ricucire certi strappi dolorosi. Perché anche il politico è una persona e difficilmente può lavorare con chi sa che non aspetta altro che piantargli un pugnale nella schiena.