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10 feb 2022

La pericolosa siccità

di Luciano Caveri

Quando vedo in televisione le previsioni del tempo, specie con quelle che vengono chiamate le "meteorine", cioè ragazze procaci scelte per l'aspetto fisico e non per la competenza in materia, mi monta la carogna. Esiste questa scelta di dimostrarsi "garrule" di fronte al bel tempo, come se pioggia o neve fossero una sciagura da scampare. In questo inverno assolato con meravigliosi cieli blu sulle nostre montagne spoglie e brulle, bisogna invece rendersi conto che condizioni del tempo come queste con anticicloni protettivi sono un disastro di cui capirne le conseguenze. La siccità è un male. Certo, dal nostro osservatorio nel cuore delle Alpi quel che colpisce è l'assenza di neve e la necessità per le stazioni sciistiche di produrre neve artificiale grazie all'acqua stoccata per tempo, ma anch'essa non eterna.

Ma si cozza spesso con temperature elevate che impediscono ai cannoni della neve di funzionare e, se spunta il vento caldo, com'è successo, il lavoro fatto sulle piste si squaglia in fretta. Aggiungiamo il rincaro dell'energia, che grava sul processo di produzione della neve, ed il grido verso il clima anomalo sale sino al cielo. Questa assenza di precipitazioni ha risvolti altrettanto gravi per altre questioni. L'agricoltura soffre e soffrirà non solo da noi in quota, ma la situazione si fa drammatica per le coltivazioni in pianura. Nelle grandi città la morsa dell'inquinamento ammorba l'aria senza l'azione ristoratrice delle piogge. In un logica "a catena" ci saranno problemi di approvvigionamento idrico per gli acquedotti, la cui obsolescenza è un problema ben noto con sprechi ed inefficienze intollerabili quando l'acqua si fa scarsa. Aggiungerei di come la difficile situazione pesi anche nella produzione di energia idroelettrica, che è e resta il nostro petrolio e assicurazione sulla vita importante per un'autonomia energetica e per una parziale sottrazione, assieme alle altre rinnovabili, dalla schiavitù dai combustibili fossili. Un cenno anche al rischio incendi, come si è visto in questi giorni nella Valle del Lys con il rogo che ha distrutto boschi resi fragili dalla secchezza sulle montagne di Fontainemore. Eppure questa emergenza ambientale, certo eccezionale ma nel solco del fenomeno ancora più vasto del cambiamento climatico, non fa titoli per il mondo dell'informazione, frutto di inconsapevolezza e direi di incultura, mostrando l'abisso con quel mondo rurale ormai tragicamente minoritario che di quanto sta avvenendo ha perfetta coscienza. Quando la Valle d'Aosta era a maggioranza un mondo legato alla terra, l'acqua era un assillo fatto di regole minute e regolamenti severi. La costruzione di canalizzazione per spostare l'acqua e distribuirla è stato un lavoro secolare e quasi maniacale, perché da lì passavano coltivazioni e allevamento del bestiame senza il quale c'erano fame e povertà. Oggi in troppi non hanno idea di quanto sia ancora importante per la tenuta del territorio, la sua bellezza, la sua conservazione. La regimazione delle acque è ancora più decisiva con questo riscaldamento globale che scioglie tutto e rende tutto più fragile e pericoloso e deve far fronte anche a noi alla violenza di fenomeni piovosi quasi tropicali. Spesso non ci rende conto che la mancata manutenzione o peggio l'abbandono creano rischi enormi e tragedie potenziali con una montagna che crolla e si inaridisce con la perdita di pratiche millenarie della tutela del territorio.