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15 ott 2021

Rendersi utili

di Luciano Caveri

Immagino che chiunque abbia fatto politica si sia trovato prima o poi di fronte a qualcuno che, dopo che si era declinato il proprio ruolo elettivo, abbia commentato con aria altezzosa: «Io non mi interesso di politica!». Come se si trattasse di materia sporca da cui tenersi distante. Basta un sorriso per reagire. Anche se in realtà varrebbe l'evidente banalità come risposta: «Stia certo che, anche se la snobba, la politica di lei si interesserà!». Leggevo il sempre lucido commento di Antonio Polito sul rinnovato e crescente astensionismo con la fuga dalle urne registratasi al voto di domenica scorsa. Registrato che, come spesso accade, si è fatto finta di niente, come si trattasse di un raffreddore della democrazia Polito osserva: «Ora, non c'è dubbio che nell'astensione ci sia una quota di indifferenza irriducibile e di estraneità esistenziale alla politica, quando non di rifiuto aperto della democrazia, e questa del resto si manifesta in ogni elezione e in ogni Paese dell'Occidente. Noi italiani, anzi, possiamo dirci più immuni rispetto ad altri Paesi di democrazia matura come gli Stati Uniti, la Germania o la Gran Bretagna, dove difficilmente alle politiche vota il 73 per cento degli aventi diritto come è avvenuto da noi nel 2018».

Vero è che, a mio avviso, la democrazia italiana è più debole e lo è anche perché appaiono personalità che incantano e vengono osannate con incredibile facilità per poi in molti casi cadere precipitevolissimevolmente. Ancora il commento: «Però, quando supera una quota purtroppo fisiologica, l'astensionismo riguarda anche elettori già conquistati al gioco democratico, e può dunque voler dire anche un'altra cosa: che al momento c'è qualcosa di più importante del conflitto politico, e che quest'ultimo non sembra produrre conseguenze così rilevanti sulla vita quotidiana dei cittadini da indurli a votare. Un pensatore liberale come Ralf Dahrendorf ci ha messo da tempo sull'avviso: l'astensione può essere un effetto collaterale della maturità di una democrazia, perché quando non è in gioco alle elezioni un cambio di regime, ma solo aggiustamenti minori tra due schieramenti, nessuno dei quali ci fa rischiare un salto nel buio, gli elettori sentono meno il bisogno di mobilitarsi. Il populismo, al contrario, è stato un grande catalizzatore di partecipazione elettorale, a dimostrazione che è quando la gente è davvero arrabbiata che va a votare. Basti pensare ai record di partecipazione alle presidenziali americane che un fenomeno come Donald Trump ha provocato, a suo favore e contro di lui. Basti pensare alle percentuali bulgare dei Cinque Stelle nei collegi del Mezzogiorno alle ultime elezioni. E' per questo che molti analisti hanno dedotto che il voto rafforza Mario Draghi. Non perché l'astensionismo possa mai essere governativo, così ovviamente non è. Ma perché se nel Paese ci fosse stata voglia di far saltare il banco, allora le urne sarebbero state ben più piene, e ce l'avrebbero detto con chiarezza. Si potrebbe insomma dire che dai dodici milioni chiamati alle urne in questa tornata elettorale è arrivato un "green pass" al governo: luce verde per andare avanti. Come tutti i "green pass", anche questo è a scadenza. Il fatto è che mentre aprono finalmente i cinema e i teatri, metà discoteche, tre quarti di stadio, mentre ricominciano a salire i volumi di affari di chi è stato fermo per più di un anno, mentre arrivano i primi fondi europei da investire, molti italiani mostrano poco interesse per la gara dei partiti, perché la reputano irrilevante rispetto alle cose che contano». E' questa un'interpretazione originale su cui vale la pena dì riflettere come una delle spiegazioni dì un fenomeno astensionista che a me pare un esercito dovuto a molte spiegazioni diverse che fanno massa. Il finale va incorniciato: «Non è il tempo della protesta, questo sembra dirci la calma piatta di questi giorni elettorali, ma di fare. D'altra parte non è un caso se a prendere il contraccolpo maggiore dell'astensione sono stati proprio i partiti di protesta, privi stavolta anche di leader capaci di trascinare attraverso la personalizzazione del messaggio politico. E non è neanche un caso se le "sorprese" del turno elettorale, Beppe Sala eletto al primo turno a Milano con più voti assoluti di cinque anni fa, pur con meno elettori alle urne, e Carlo Calenda che dal niente ha piazzato la sua lista al primo posto a Roma, sono due politici che hanno fatto del pragmatismo e del "fare" la propria bandiera. La lezione, per tutti, dovrebbe dunque essere questa: rendiamoci più utili a un Paese che si sta rialzando, non più bellicosi, o sanguigni, o polemici. Se così fosse, non tutto il male sarebbe venuto per nuocere». Ci riflettano anche coloro che in Valle d'Aosta - specie quelli che in Consiglio regionale fanno dall'opposizione i duri e puri o anche chi vivacchia nella posizione equivoca di lotta alla maggioranza dì cui facevano parte - non capiscono lo sforzo corale necessario e pensano dì capitalizzare con polemiche che stufano e logorano loro stessi.