Il "PNRR", orribile acronimo che starebbe per l'altrettanto ridondante "Piano nazionale di Ripresa e Resilienza", è ormai come il prezzemolo, buono per tutti gli usi. Sono mesi che dovunque vada e con chiunque parli mi si chiede quanti soldi verranno alla Valle d'Aosta e come li spenderemo. Anzi, ad essere ancora più preciso, sono in molti che, chiesto questo, si fanno poi avanti con i progetti più vari «per usare i soldi dell'Europa». Cambio scenario. Partecipo in videoconferenza a diversi incontri su questo PNRR. I primi, ormai storicizzati, erano stati quelli con i ministri delegati alle materie afferenti questi interventi di stampo europeo ben pasciuti di miliardi di euro da spendere entro il 2026. Poi sono seguite riunioni tecniche e poi, infine, i provvedimenti cornice che indicano l'organizzazione della struttura che dovrà seguire «la messa a terra», come si dice oggi con linguaggio da elettricista. Ebbene, settimana dopo settimana ci si è resi conto con crescente preoccupazione che Roma considera le Regioni come fosse un'associazione di categoria o un sindacato e non l'espressione massima, con i Comuni, della democrazia locale. Un abbaglio tecnocratico che sembra dimenticarsi della Costituzione.
Con i miei colleghi che si occupano in tutte le Regioni degli Affari europei abbiamo a lungo aspettato che questa partenza sbagliata prima o poi fosse corretta. Tant'è che gli stessi presidenti di Regione hanno a lungo nicchiato sulla possibilità di fare ricorso alla Corte Costituzionale. Una scelta che forse andava fatta, ma la strada non si è intrapresa perché si temeva che Mario Draghi, con il suo aplomb anglosassone, avesse facile gioco a dare ai ricorrenti degli sfasciacarrozze in un momento topico. Così il tritasassi della ripartizione democratica di poteri e competenze si è avviato senza difficoltà ed oggi tutte le Regioni e le Province Autonome piangono lacrime amare. Con il contagocce arrivano notizie da Roma di una scelta centralista sempre più marcata e non si individua neppure quell'efficientismo statale che viene proclamato ai quattro venti. Non voglio fare il menagramo, ma se si continuerà così i soldi comunitari non verranno spesi e quelli spesi rischiano di non avere nessuna corrispondenza con le esigenze avanzate da ogni singola Regione. Pensare che l'Europa, che con la Politica regionale ben conosce il valore aggiunto delle Regioni, avesse indicato con chiarezza il loro coinvolgimento nel Piano di Resilienza, ma l'Italia non ha seguito le indicazioni e il rischio è quello di trovarsi sbattuta in faccia l'evidente rozzezza del modello proposto con una cabina di regia a Palazzo Chigi che non coordina un bel niente e con i Ministeri che si stanno occupando di materie chiaramente nelle competenze delle Regioni. Uno sfregio già così indirizzato all'epoca del Governo Conte e che ha preso velocità con il Governo Draghi e neppure un regionalista come il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha posto argine a questa scelta centralizzatrice devastante per la democrazia. Vi assicuro che non esagero affatto e non è una specie di «al lupo, al lupo!», ma un allarme serio su di un tema capitale. L'Unione europea ha capito con lungimiranza che senza una massiccia iniezione di denaro la ripresa dopo la pandemia non ci sarebbe stata e da quei la intelligente di pompare risorse nei diversi Stati membri. Ma se questo denaro non si riverserà lungo lo scheletro di una democrazia, allora non solo non si farà quanto necessario, ma i soldi andranno restituiti a Bruxelles e sarebbe gravissimo.