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08 apr 2020

La bandiera e l'autocertificazione

di Luciano Caveri

Anche il "Corriere della Sera" regalerà il tricolore nel solco della campagna che mira ad esporre la bandiera nazionale come simbolo di coraggio, riscatto, speranza contro quel nemico invisibile che è il "covid-19". Questo uso retorico e patriottardo della bandiera, che ha illuminato di bianco, rosso e verde anche palazzi e piazze, è una artificio antico per esorcizzare il Male in una logica irrazionale, che serve per scaldare i cuori in un filone sentimentale. Scelta persino riempita di palesi significati antieuropei per certa stupida incomprensione di chi a Bruxelles (ma la più odiata è Berlino) non ha capito il grido di dolore dell’Italia. Insomma: stringersi al bandierone contro i cattivi che ci minacciano, che sia un virus o che siano i nemici che non solo non ci aiutano, ma anzi approfittano ed in certi casi di distorsione della realtà approfitterebbero dei nostri guai.

Ciò rientra in fondo in quel comprensibile armamentario che serve in una comparazione ben presente fra la pandemia e la guerra, che adopera appunto una strumentazione ben nota per resistere e attaccare, come in un susseguirsi di battaglie per vincere appunto una guerra. Sono cose profonde che richiamano la nostra umanità più profonda e irrazionale. Sarò controcorrente ma, come cittadino, pur compartecipando a riti collettivi come certi "flash mob" di ringraziamento per chi rischia la pelle per assistere i malati, mi attengo di più alla richiesta di decisioni chiare, misure certe, normative e regole comprensibili, perché questa è la reazione più importante, il nocciolo della questione che offre soluzioni e dà sostegno e speranza ad una comunità più che riti tribali di cui ho comprensione, come aggiunta e non sostituzione di una macchina pubblica efficiente e capace e cittadini attenti e partecipativi. Perché la posta in gioco, che sia sanitaria o economica, ha poco a che fare con logiche da tifo da stadio per i mondiali di calcio, ma riguarda la nostra vita ed il nostro futuro e essere come tifosi può accrescere la nostra autostima, ma ci vuole altro. Un esempio? Leggevo Riccardo Luna nella sua rubrica "Stazione Futuro" su "La Repubblica" ed al suo interrogativo: «Ma esattamente, l'autodichiarazione a che serve? Non vorrei infierire, visti tutti i problemi che ci sono su come interpretare le nuove regole su cani, bambini e metri di distanza da casa, ma arrivati alla terza settimana di blocco generale, e visto che davanti ne abbiamo almeno altre due ma probabilmente ancora di più, credo che non sia lesa maestà né mancanza di rispetto della difficoltà del momento chiedersi: ma esattamente, l'autocertificazione, a cosa serve? Non sto contestando le regole, anzi, le condivido e le rispetto con convinzione. Ma non capisco che senso abbia, per imporle, imporci di scaricare un modulo dal sito della Presidenza del Consiglio, stamparlo, e se non abbiamo la stampante allora copiarlo a mano, firmarlo e portarlo con noi, quando le stesse cose uno le potrebbe semplicemente dichiarare qualora venisse fermato ai controlli? Qual è il vantaggio nel richiedere al cittadino questo esercizio di equilibrismo burocratico-analogico, rispetto a fermarlo e chiedere "dove sta andando e perché?"». Poi Luna, che da sempre predica la modernizzazione sul fronte delle tecnologie più avanzate (non dico "nuove" perché ormai alcune sono datate!), osserva per concludere: «Il tema non è soltanto il paradosso di pretendere che improvvisamente la scuola debba diventare digitale, il lavoro smart, i rapporti umani social, e invece quando ti fermano per un controllo in strada devi estrarre un foglietto scritto a mano da firmare come se fossimo in un film di Totò e Peppino. ll tema non è neanche il fatto che circa dieci milioni di italiani non hanno mai usato Internet e quindi cosa si devono scaricare? Per non parlare di quelli, non tantissimi per la verità, che non hanno la copertura della rete; e di quelli, sì tantissimi, che non hanno una stampante a casa, e per loro è stato detto che il modulo te lo fornisce la pattuglia che ti ha fermato: grazie, ma allora perché mi chiedi di stamparlo o ricopiarlo se me lo puoi dare all'istante? E infine, il tema non è neppure, chiariamolo, la preclusione netta, esplicita, a consentire una autocertificazione digitale, via app, accampando scuse varie come quella che violerebbe la privacy degli utenti oppure che la pattuglia debba invece acquisire il documento in originale, quando invece quasi sempre capita che l'agente lo fotografa con il suo smartphone e l'originale te lo tieni nel caso venissi fermato ad un altro posto di blocco. Il punto non è il dilemma fra carta e digitale. Il punto è: ma è proprio necessaria l'autodichiarazione preventiva? Visto che la stragrande maggioranza degli italiani ha dimostrato di aver capito il momento e di saper rispettare le nuove regole, e visto che ogni giorno si fanno oltre 300mila controlli e si irrogano oltre seimila sanzioni, possiamo continuare a farlo senza l'autodichiarazione? Oppure no, oppure c'è un motivo misterioso, e comunque ignoto ai più. E allora forse spiegarlo ci renderebbe più lieve questo che da fuori appare un rigurgito di burocrazia: chissà, saremmo pronti a ricopiare a mano anche la quinta o la sesta versione del modulo se necessario». Esempio fra molti di perché conta spesso più la sostanza di altro.